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    MOTOR GIRL ( Bao Publishing)
    216pp., b/n. 19,00€.
    Testi e Disegni_ Terry Moore.
    Mini-serie completa dall’acclamato autore di “Strangers in Paradise”, “Echo” e “Rachel Rising”, che vi recupera ed inietta _specie a livello grafico e ambientale_ alcuni dei suoi temi favoriti , con una tensione “etica” di fondo riconoscibile ma scevra da pedanterie didascaliche o sguaiate. Piuttosto delle “perturbazioni” graduate nella loro drammaticità , ma dentro un quadro di una“normalità” perfino un po’ dimessa, vivificata da scambi tambureggianti di battute , scarti iconici nella cultura pop(ular) , ed un surrealismo mai fine a se stesso nel voler stupire di gratuita insensatezza. Moore dice tanto partendo dal poco, da una quotidianità che è purgatorio di un passato ( militare) affatto ordinario e che ha lasciato inevitabili cicatrici fisiche e psichiche (…o psichiatriche?). E se ciò che vediamo è poi quello che i personaggi credono di vedere di una “allucinazione perversa” , è una accrescita di ambiguità che ci fa’ appassionare alla storia , non confortati da profili comportamentali netti sulla bisettrice Buoni/ cattivi , fermo restando la rivolta verso il capitalismo più becero e guerrafondaio. Tiene la posizione una ex sergente dei Marines , Sam(antha) Locklear,veterana ed offesa nella guerra irachena che tiene a bada i suoi demoni interiori con un isolante e desolante lavoro di meccanico-sfasciacarrozze in uno sperduto e rovente deposito nel Nevada. Inganna il tempo parlando col suo amico Mike , un gorilla immaginato (?!?) e se la sfanga rimanendosene in disparte e sopportando dolorose emicranie e fastidiosi incubi. Ma , alla sua “capa” Libby arrivano pressanti e stranamente generose offerte per rilevare la proprietà, da parte di un uomo d’affari che traffica in tecnologie sperimentali e sembra avere risorse ed agganci di alto profilo. Eppoi niente, Sam si ritrova come clienti …Gli extraterrestri! In un crescendo slapstick e metaforico la storia si chiude in maniera piana e commovente, deprivandoci di quella componente “fantasy” che nei vari capitoli aveva fatto da cuscinetto alla presa d’atto degli orrori (post)traumatici e continuati che costellano le attività belliche.
    Non cambia lo stile di disegno dell’autore , che vira di grigio alcuni passaggi notturni , non avendo particolarmente nelle corde i chiaroscuri particolarmente elaborati e d’altronde confidando nella luce spiattellata del deserto del Nevada. Il contesto di rottami, sassi e poco altro giustifica in parte un calo di rifinitura dei particolare, almeno rispetto ai più riusciti passaggi di “Rachel Rising”, ma la pregnanza espressiva di molti primi piani( e Sam ha un che della Gioconda. xD ), direzionati dall’impostazione comunque abbastanza regolare delle tavole sorvegliata e sicura. Sono un fan di Terry Moore e porto anche questo volume sugli scudi , con un parere entusiasta (imho).
    "...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"

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      HIT 1955
      Editoriale Cosmo. 100pp., a colori. 12,90€.
      Testi_ Bryce Carlson / Disegni _ Vanesa R. Del Rey / Colori_ Archie Van Buren.
      In giro, nella Città degli Angeli del ’55. Fagocitato dal suo superiore , di cui ha amato la turbolenta figlia, un detective del Dipartimento di polizia losangelino guida una squadra di colleghi decisi a smantellare il crimine organizzato giustiziando i suoi capi, troppe volte indenni dalle maglie giuridiche ortodosse e garantiste. Li sorregge un loro codice d’onore che vuol fare terra bruciata intorno al super boss della mafia Mickey Cohen, senza però approfittarsene a loro volta per arricchirsi personalmente. Un lavoro sporco, oscuro che “va’ fatto”. Straziato da un vissuto drammatico , l’uomo di (fuori)legge esegue con perentorietà i suoi compiti; ma la figlia del capo torna a cercarlo e punta su di lui una nuova vagonata di brutte grane…
      In quattro parti ( ed un seguito annunciato : “Hit 1957” , che evidentemente posticiperà le questioni messe in sospeso alla fine di questo volume…) un racconto noir a fumetti, tosto e violento, intricato il giusto per stravolgere l’opinabile ma limpida premessa di sbirri di L.A. che si auto conferiscono poteri completi nella lotta alla criminalità, rischiando tutto ed in proprio , aggrappandosi al bere, al fumare ( sempre e comunque, incessanti…), alle donne e soprattutto alla mutua solidarietà tra pochi e fidati . Ma non basta mai : la vita è sempre più complicata ed al contempo basilare di quanto lo si possa prevedere , le persone cambiano oppure sono sempre state infide; e i fatti ( gli investigatori, nelle loro funzioni ufficiali , hanno modo di seguire anche “ordinari” casi di cronaca nera…)sono sovente solo un inganno di apparenze. Strutturato ed esposto , anche nella “durata” ,come un film , con molte vignette formato scope ed una grande attenzione (plauso al colorista) a nutrirsi dei punti luce a disposizione, anche al costo di lasciare austere e marcate penombre ; ed andando invece di tagli verticali o a riquadri in sequenza per mantenere la tensione drammatica in passaggi statici e privi di controcampi. Nelle scene più concitate ( vedi gli scontri fisici) forse le distanze tra i protagonisti non consentirebbero realisticamente le azzuffate messe in scena ( ;-) ). Lo stile grafico in linee sgranate e un po’ stilizzate e grezze potrebbero ricordare la cremasca Roberta Sacchi. Se garba il genere, un volume che non delude affatto, concludendosi con uno stringato testo narrativo dello stesso sceneggiatore (imho).
      "...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"

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        MANI NUDE
        SBE. 304pp., b/n. 22,00€.
        Testi_Paola Barbato / Disegni_ Davide Furnò e Paolo Armitrano.
        In tre atti,è la versione a fumetti dell’omonimo romanzo , della stessa autrice.
        Durante un rave, il sedicenne Davide Bergamaschi viene rapito da una organizzazione criminale, ristretto in una fabbrica dismessa ed avviato a combattere in lotte clandestine all’ultimo sangue , ad uso scommesse e di pervertito interesse spettatoriale. Preso in consegna e “ri-educato” dal carismatico luogo-tenente del temuto quanto ineffabile Boss, Davide dimentica il suo passato , a partire dal nome e dagli affetti familiari che forse non sono mai stati centrali nella sua vita “precedente”
        ; si lega in maniera quasi filiale al suo amorale “mentore” e lascia pericolosamente fluire il gradiente di violenza alla fine perfino compiaciuta che è in Lui e che lo trasformerà in uno spietato campione di Lotta, plasmando il suo corpo ed indirizzando la sua mente all’annientamento del prossimo, anche non necessariamente un disperato od esaltato avversario nelle sue stesse condizioni di partenza, ma pure di vittime delle esigenze infami dell’organizzazione. E anche quando si apriranno spiragli di libertà e possibile normalizzazione esistenziale relativa , per Batiza ( fu Davide B.)il richiamo “doveroso” sarà comunque il tornare a picchiare a morte…
        Come già in “Davvero”, Paola Barbato colloca il suo protagonista come rampollo di una borghesia affluente ma forse un po’ assente e permissiva sul piano genitoriale, ma qui ne fa’ un adone , angelico nell’aspetto ma ambiguo e depravato nel subire soprusi che si fanno pretesto di licenziare una personalità già vocata al sadismo (?) , ma perciò anche ammirato online da una cricca di guardoni impietosi e “selezionati” secondo un immaginario codificato ( gli elegantoni mascherati, i bavosi collegati in diretta streaming…), quasi ad assecondare una idea “aristocratica” e culturalmente motivata della violenza; con l’aguzzino ( il Vice del sedicente Capo ;-) ) che modella il ragazzino diventato uomo in due anni di macelleria umana (sic!) prigioniero ma in piena “sindrome di Stoccolma” : un angelo sterminatore che ,subendo un regime autoritario è forzato ad investire su se stesso a livello psico-fisico ma , almeno nel medio periodo, si piega a farsi “sovrascrivere” nei suoi naturali sentimenti familiari e nelle amicizie goliardicamente ilari da spensierato sedicenne belloccio. La trama rilascia il ricordo di almeno mezza dozzina di film , e questo temo non deponga sulla sua freschezza. Piuttosto rimane una sensazione di disagio per l’abnegazione /subornazione eticamente inaccettabile e sostanzialmente sociopatica di un personaggio che saremmo portati a considerare vittima di inaccettabili soprusi, e che ci costringe direi a sentirci moralmente superiori a lui .

        Tolte le parti in flashback , scariche e slavate nei contrasti in quanto (de)costruite su flebili linee che formano figure ed ambienti appena irrobustiti da lasche pennellate di grigio , l’anima nera del fumetto è trasposta con ampia rilevanza di neri , che assorbono i retini nel dare tono visivo al filtraggio dell’oscurità, posata sulle facce anche da passate di tratteggi a sfumare su una fitta e scorrevole pezzatura di linee e bordi fini , per un quadro generale dalla severità espressionista che non sgarra molto dalla gabbia a tre fasce , magari raccontandosi senza ausilio di troppe parole ma , in trecento e passa tavole, anche con una certa ripetitività di fondo nell’alternanza piani e campi visivi.
        Una storia forse eccessivamente compres(s)a in se stessa, che si compiace nel procedere di passaggi esasperati scavallati con disinvoltura ( sebbene i momenti più cruenti avvengano fuori campo…)per passare al livello successivo di una via crucis che “deve” compiersi nel suo ingrato destino (imho).
        "...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"

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          JULIA n.ro 234 Aspettando domani
          SBE: 132pp., b/n. 4,00€.
          Testi_ Giancarlo Berardi e Lorenzo Calza / Disegni_ Enrico Massa.
          Quasi forzata in maniera perentoria, Julia si trova a seguire il disagio giovanile da figlio unico adolescente _su cui si riversano alte e stringenti aspettative _ del suo Rettore universitario. Nel frattempo un’altra ,anonima , studentessa accumula un gravoso carico di frustrazioni, derivanti dal suo pingue aspetto fisico, la relativa timidezza relazionale conseguente coi suoi compagni di scuola ed una situazione familiare che affossa ulteriormente la sua scarsa autostima. ..

          Prendendo a prestito lo stesso percorso psicanalitico intrapreso da Julia, anche in rapporto con la sorella minore e la nonna, e pure sopravvenute e parallele frizioni padre /figlia tra Ettore e Francesca ( rispettivamente moroso genovese di J. e figlia avuta dalla moglie con cui ha divorziato…)un albo dal taglio antropologico , che mette in conto un minimo di didascalismo e citazionismo accademico per focalizzare un ventaglio di sfaccettature della casistica genitori e figliuoli “sdraiati” , in età scolastica e problematicità abuliche, complessate e ribellistiche/autolesioniste nell’Occidente opulento ma sostanzialmente bloccato nell’ascensione sociale.
          Julia non è mai compiaciuta della sua sensibilità ( che comunque difende dalle impuntature “giustizialiste” del Ten. Webb), tuttavia _ e sebbene la serie galleggi in un eterno presente che comunque recepisce gli ammodernamenti della tecnologia_ dopo poco meno di un ventennale di pubblicazioni ,il “grimaldello” della tossicodipendenza della sorella propende allo stucchevole, sebbene intercalato per rifuggire un senso di sentenziosità distaccata della criminologa nubile e senza prole. Non esiste d’altronde _sembrano dirci gli sceneggiatori_ un modello familiare inattaccabile dal malessere; e se la Legge è uno spartiacque irrinunciabile del (con)vivere civile, anche la sua trasgressione grave , omicidiaria persino, non deve ledere il diritto, specie in soggetti in via di formazione, a forme di sostegno e recupero, non irrispettose del dolore dei congiunti delle loro vittime. E qui la storia offre una accelerazione di violenza e cattiveria premeditata che spiazza , ed inquieta (…diventando una forma di gratificazione temporanea del carnefice…) , però risolta opportunamente in un climax non inutilmente eclatante; dentro piuttosto una “ordinarietà” che sopisce i problemi , solo per farli macerare, molte volte, in un sedimento di rancorosa rivalsa.
          In linea con la continuità estetica della serie il contributo grafico di E. Massa, felice ( sarà stato scelto apposta…)nel rendere la freschezza dei volti e corpi giovani …Meno nell’inquadrare personaggi più maturi ( Emily, in parte Irving…)e forse un po’ scolastico nei chiaro scuri in interni ma attento alla spazialità ambientale, resa_ così pure negli esterni_ con un generoso apporto di dettagli , anche minuti.
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            DAMPYR [216] La Donna dalla bocca squarciata
            SBE. 96pp., b/n. 3,50€.
            Testi_ Stefano Piani / Disegni_ Giorgio Gualandris.
            Un femminicidio perso ed esorcizzato nel lontano periodo “medievale” giapponese ha fatto scaturire la paurosa storia di una sposa orrendamente sfigurata che, travalicando la dimensione terrena, ritorna armata di forbicioni ad infliggere ad ignari le pene corporali che al tempo inficiarono la sua venustà. Con la mediazione culturale di un vecchio amico e le ramificate conoscenze di Caleb Lost, il Dampyr _tra boschi, ospedali e i quartieri della Tokyo moderna (…ma sempre di antica tradizione storica)_ cerca di arrivare al “fantasma” che sta facendo scorrere vero sangue. Ma parallelamente un gruppo di amici di vecchia data ormai adulti tenta di riformarsi , sulla scorta di una pregressa e dolorosa “esperienza ravvicinata “ con la “donna dalla bocca squarciata”…

            Un albo tirato su con mestiere , fondendo gli anni ’80 di “IT” e dei “Goonies” con la ricca scelta ( ci fa’ nozione la rubrica di presentazione ed accenni nei dialoghi …) di icone horror del Sol Levante , che non prescindono _anche in questo caso_ da una capellona femmina mora dal viso travisato, le vesti finto candide, la camminata strascicata e le intenzioni maligne. Con un sentimento di pietà conclusivo che da un lato prende posizione su un tema “terminale”sempre di attualità e che chiude sulla “mostruosa” con una nota di tentennamento quasi empaticamente “Sclaviana”; ed un intro che mette a segno un confronto inaspettato, l’episodio snocciola indagini “cold case” ( Harlan e soci) alla ripresa _ con flashback esplicativi_ della ri-formazione della “banda” di ex nerds, con un perno narrativo che, prevedibilmente, farà convergere i bene intenzionati sul brumoso campo di Lady vendetta soprannaturale, per tentare di neutralizzarla, magari forzando il riserbo imposto da alcune convenzioni culturali indigene.
            Un Harlan Draka particolarmente metrosexual ( xD) spiana la strada a figure allampanate ( non sempre scioltissime nel non sembrare posate) fino all’eccesso , compensate per nemesi da tracagnotti abbonati a vita al ruolo di amico-grasso-ma-simpatico. Anche suggestive le vedute dall’alto, con ombreggiature curate ed incisive. Un po’ tozzi i mezzi di trasporto, mentre invece sono estremamente enfatizzati i passaggi con scontri traumatici di incidenti e lotte. Si lascia leggere (imho).
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              ALIENS [11] Aliens dead orbit ( 2 di 2)
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              Testi e Disegni_ James Stokoe.
              Seconda e conclusiva parte, che fila via di parche parole ( situazione tipo declinata in romanesco : annàmo o stàmo?) , aprendo lacune comportamentali dei personaggi sul piano logico , a meno di non imputare il tutto allo stravisto e sentito macro-tema dell’improvvido tentativo di contenimento del temibile alieno da parte degli astronauti che, diamine, ne pagano feralmente le conseguenze. Già si capiva dall’inizio, del resto, che sarebbe finita in vacca : c’è, intendiamoci, l’istinto di conservazione per qualcuno (non riassumo la trama , abbastanza esile e scontata, per non prosciugare l’interesse per la lettura dell’albo), mosso tragicomicamente dal vizio (…del fumo)che si traduce, dopo estenuante lotta dentro e fuori le navicelle spaziali ( sempre vere e proprie gelide bare volanti…) nel triste, solitario y final di una vittoria “di Pirro”. Può piacere o meno lo stile “svirgolo” e “piluccato” dell’autore che sembra quasi voler rifare un “Akira” nei moduli estetici più del fumetto indie occidentale, ma gli va’ dato atto di un certo smazzarsi a rendere il dinamismo concitato/disperato ( o drammaticamente inquietante dei momenti statici, come le pagine d’avvio di questo numero…)nel cercarsi vie di fuga , secondo il meccanismo di fare barriera contro l’avanzata _ inesorabile, lo sappiamo già_ degli aliens.
              Dopodiché… Ehm, niente : finita qui. (imho).
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                KINOWA
                Edizioni IF. 98pp., b/n. 2,90€.
                Testi_ Andrea Lavezzolo / Disegni_ EsseGesse.


                Ristampa di un fumetto western dato inizialmente alle pubblicazioni a partire dall’ormai remoto maggio 1950. E la sua struttura linguistico-narrativa stilisticamente mostra gli anni che ha. I testi sono copiosi , retorici e nettamente preponderanti/ridondanti fino a schiacciare i disegni , troppo spesso una ratifica di ciò che viene descritto a parole già per filo e per segno.
                Concedendo ai soli grandi Capi indiani un barlume di ragionevolezza il soggetto si dà al revisionismo spinto e proto-hollywoodiano, sempre pronto a prendere le parti dei “bianchi” che si “difendono “ dai nativi, appellati “diavoli rossi” o “rossi”, con le sceneggiature ( erano previsti albetti di venti pagine settimanali ciascuno…)che uniscono il tratto avventuroso ed esotico al drama familiare allargato ed opportunamente complicato ( ovvio che i destini di padre e figlio biologico torneranno ad incrociarsi…) fino a puntare sull’esoterismo fantastico (…).

                Dopo la fine della guerra di secessione americana ri-prende la corsa verso il far west. Il colono di una carovana ,durante un agguato degli indiani perde la moglie, il figlio neonato e …Lo scalpo. Tuttavia sopravvissuto, giura e pratica imperitura vendetta senza quartiere. Il suo pargolo non è perito però, ma preso in adozione dal leader di una tribù, che lo passa alla sua squaw per crescerlo ( gli indiani sono tutti convinti maschilisti xD…). Passano gli anni , e mentre il babbo scotennato si è fatto una solida reputazione di terminator di “selvaggi”, l’ignaro figlio è cresciuto e fortificato nella cultura che lo ha adottato, ben presto segnalandosi per astuzia, valore guerriero e carisma , e guadagnandosi sostanzialmente la credibilità per guidare la “sua” gente, sebbene si distingua inevitabilmente anche per il diverso colore della cute.
                Ma i pellerossa imparano a temere pure un altro mortale nemico : Kinowa!
                Uno spettrale hellboy, ducesco nelle posture e dotato di poteri apparentemente soprannaturale, ben capace di infondere turbamenti già dal suo aspetto demoniaco (una maschera?) e che, come Superman e Clark Kent non appare mai in contemporanea con un altro personaggio…
                La sollevazione delle tribù indiane affratellate passa dunque per la sua neutralizzazione e _ compiacenti alcuni mercanti bianchi_ per un traffico d’armi pagate in oro che il pelato (…senza cotenna) e i compari che si sono raccolti vicino a lui s’ingegnano a sventare…
                Per lo stile di disegno fin troppo banale rifarsi ad Alex Raymond; con poca fantasia nel diversificare l’aspetto dei nativi americani e certe messe in piega che resistono pure allle diligenze capottate…E verrebbe preziosa un po’ di ironia ( il protagonista sogghigna spesso “hi! hi! hi!”, ma pare uno psicopatico :-p )per questo discreto “mattone” verboso e sentenzioso, in una estenuata successione di conciliaboli e pistolettate (imho).
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                  LE STAGIONI DEL COMMISSARIO RICCIARDI_ La Condanna del sangue
                  SBE. 160pp., b/n e verde. Ed.Edicole 7,90€.
                  Testi_ Sergio Brancato/ Disegni_Lucilla Stellato / Colore_ Ylenia Di Napoli e Andrea Errico.

                  Regna ordine e benessere , secondo disposizione del Regime, ma nei quartieri popolari di Napoli , a ridosso della primavera del ’31 disperazioni, aspettative e rimorsi coagulano anche intorno alla figura di una anziana e piuttosto conosciuta cartomante, rinvenuta cadavere ed orribilmente vilipesa nel suo appartamento. Il Commissario Ricciardi , senza pregiudizi e cercando di razionalizzare gli enigmatici “imput” che riceve dalle anime (?) dei morti (…per violenza), prende ad indagare con lo scrupolo e la serietà che gli è congenita.
                  Attardandosi ad introdurre diversi personaggi che, per freddo calcolo od impulso scriteriato potrebbero essere i responsabili del delitto , la sceneggiatura ( basata sul soggetto di Maurizio De Giovanni) sceglie di polarizzarsi su un ventaglio caratterialmente e socialmente eterogeneo di donne ( approfittando per una timidissima apertura sentimentale del Ricciardi che _sospettiamo dall’ultima pagina_ in futuro verrà “incalzato” da una “vecchia sua conoscenza”; e perfino, platonicamente, per il Maresciallo Maione , ancora in pena _con la moglie_ per la tragica scomparsa del primogenito carabiniere…), che perlopiù soffrono le angherie e/o l’inadeguatezza dei loro mariti/figli/padri; senza di fatto poterne reclamare l’indipendenza convenzionale ed effettiva da loro. Peraltro con un finale che si richiama al mutismo disturbato del Norman Bates di “Psyco” , con un portato di morbosità edipica che non regala “santini”gratuiti al genere femminile, cedendo solo una certa indulgenza alla sensibilità particolare di una ragazzina down ed all’opposto alla coraggiosa sfacciataggine di un travesta ; mentre il pianto sordo della signora Maione deraglia forse nella sottolineatura melodrammatica. Anche il meccanismo investigativo d’altronde si avvale _letteralmente, e come già avvenuto nel precedente episodio “Il Senso del dolore”_ di una rappresentazione teatralizzata che peraltro offre il destro ad una somministrazione di una Giustizia smaccatamente prona alle esigenze delle classi dominanti, sebbene la sotto-trama della figliuola del manovale (…) suggerisca abiure di codici di procedura penale farisaici , senza implicare la compromissione del sempre tormentato L.A. Ricciardi , questurino napoletano che non si sogna di depurare “per decreto” le manchevolezze umane.
                  Molto libera e varia, di nuovo, l’interpretazione grafica della gabbia delle tavole , sporadicamente disorientante (…la notazione è strettamente personale…)nella cronologia delle vignette: molte le scontornate ,e le insertate di taglio eccedente l’una sull’altra magari montate su totali lo stesso di varie fogge. Bella ed accurata l’attenzione d’insieme per la ricostruzione storica , pienamente a fuoco nelle inquadrature corali; od a sfumare all’occorrenza in un effetto di sovraesposizione luminosa degli sfondi , sempre comunque ben collocati spazialmente. I toni del verde infondono un gusto vintage all’espressività realistica e riccamente dettagliata dello stile di disegno, che sgrana le sue ombreggiature severe quando deve restituire l’eterea ma sporcata ( di sangue!)”persistenza” dei defunti . Dà l’impressione che il protagonista non evolva granché dalla sua condizione poco allegra, ma rimane un buon giallo , che si lascia seguire anche nelle sue diramazioni prevedibilmente cieche ma per quieto vivere attribuite a cafoni. Di Napoli. (imho).
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                    ALAN FORD n.49 Derby
                    1000voltemeglio. 128pp., edizione a colori. 5,00€.
                    Testi_ Max Bunker / Disegni_ Magnus / Colori_ MBP,
                    Nella golden age di “Alan Ford” un numero (uscito nel maggio del 1973) che trovò immediata consacrazione nel gradimento dei lettori.

                    Un allevatore di cavalli da corsa si trova in gravi ristrettezze economiche, ed il purosangue che potrebbe risollevarlo è bramato da un suo avido e scorrettissimo concorrente, che si offre con le buone _e soprattutto con le cattive_ di rilevare la bestia. Al suo pericolante proprietario non resta che vincere la lucrosa gara Derby : per proteggersi chiama in aiuto il Gruppo T.N.T, che porta lo scompiglio nel mondo agreste delle corse ed in quello un po’ vizioso delle collegate scommesse…
                    Albo che funziona alla grande tanto nelle trovate visive, nelle molte gag da comica del muto rinforzate dalle capacità “caricaturali” di Magnus che riesce a far “recitare” anche i quadrupedi, spendendosi ulteriormente in autoritratti ( lui con lo stesso L. Secchi…) –cameo nella composita “fauna” di frequentatori ed addetti ai lavori satireggiati nell’ambiente ippico. Non vengono meno le irriverenze ( vedi i figli “trogloditi” dell’allevatore, che trovano un “inglorioso” lavoro…)di costume che, facendosi frecciate politiche spaziano dalle damine di carità sensibili (troppo?) ai bisogni di Paesi esotici prima che della indigenza indigena, fino al villain della storia, incarnazione di un capitalismo ingordo, arrogante e monopolista . Pieno controllo delle sagome (cit.) sia nella loro rappresentazione visiva e sia nelle spumeggianti erogazioni lessicali, trainate dal Numero Uno e dal Conte Oliver, ovviamente della partita dovendo risolvere a più riprese le impellenze economiche del caso. Issati alla partenza decisiva “comunque vada sarà un successo”, circa. Divertente, senza meno (imho).

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                      CYBERSIX 3 ( Editoriale Cosmo)
                      192pp., b/n. 6,90€.
                      Testi_ Carlos Trillo / Disegni_ Carlos Meglia ( con la collaborazione di Alejandro Santana, Rodriguez Uzal e Adriano Giulitti.
                      Due episodi anche in questo volume.
                      1. “Che Fine ha fatto Frank Rabitti?”.
                      Una procace bionda completamente nuda viene scacciata sull’asfalto da un’auto(!). Viene in suo soccorso Cybersix , che però la ospita come Adrian Seidelman, il suo professorale alter ego maschile. Sebbene indagini di polizia _ sollecitate informalmente_ attribuiscano alla ragazza l’identità di una prostituta serial-killer (!!), lei asserisce di essere addirittura un maschio (!!!), il cronista Frank Rabitti , il migliore segugio di notizie e amico fraterno del suo Direttore Lucas Amato (l’amore “impossibile” di Cybersix…), impegnato in scottanti inchieste giornalistiche …
                      Avendo memoria del contesto degli episodi precedenti , perfino una trama tanto paradossale non lascia del tutto spiazzati ,ed un po’ si intuisce (è il suo limite?)che si andrà a parare nelle origini “putative” di Cyber6. Chiarito che il fumetto ha un copyright risalente al 1991, si può ricavare che gli intenti della storia enucleano una sensibilità neo-ecologista, filtrano la necessità precauzionale verso malattie trasmissibili (…l’aids…) e si potrebbe dire _in tempi non sospetti e fermo restando la “disperata” eterosessualità della protagonista_ che mettono in luce la fluidità “gender” tra i rapporti umani più intimi. E in questo senso la natura “particolare” dell’eroina del comic la relega a spettatrice che può solo decrittare filosoficamente rapporti (carnali) che lei nega al suo amato…Amato per non “contaminarlo” della turpe materia bio-genetica di cui è fatta ( un tormento che nel secondo episodio troverà uno spiraglio parzialmente inedito…)suo malgrado. La sua “alterità”al genere umano rende probabilmente più accettabile certi ( vedi la parte ambientata nelle fogne…)suoi metodi “spicci”.

                      2.“La Controfigura e la morte”.

                      Un gioco cross-mediale e meta-testuale. Cyber6 si trova, per altruismo, a prestarsi a fare la stunt-woman della protagonista di un telefilm di successo, un’attrice che le assomiglia molto (e che è bersagliata da continui “incidenti” sul set…).Anche qui la coincidenza va’ a parare , combaciandola, con la dolorosamente personale di Cyb , ma lo sceneggiatore ha naturalmente l’accortezza di annettere i parallelismi su un filone narrativo intrecciato ma distinto; divertendosi a mettere la sua protagonista in difficoltà accollandole una parodia del Tenente Colombo (…chiamato per la malasorte dell’attrice )che la stressa facendole vacillare la copertura come Adrian. Finale molto (cinema) classico.
                      Un pochino scialbe , graficamente, le scene di ambientazione portuale, per il resto preservata la stilosità di Meglia & co., con raffinati tagli prospettici e solide vedute d’insieme. Continua il mese prossimo con un ulteriore albo. Godibile (imho).
                      "...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"

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                        FOIBA ROSSA_ NORMA COSSETTO ,Storia di un’italiana
                        Ferrogallico Editrice. Cartonato 72pp., b/n. 12,99€.
                        Testi_ Emanuele Merlino / Disegni_ Beniamino Delvecchio.
                        Una breve ma emblematica esistenza stroncata atrocemente dall’invasato nazionalismo slavo ,organizzato da Josip Broz Tito in seno ai comitati di matrice comunista, raccontata a fumetti (e con appendici di testo e note storiche che prendono una dozzina di pagine, nel formato e nello spirito editoriale simile alla collana”Historica” di Mondadori…).
                        Norma Cossetto :italiana, istriana,figlia giudiziosa di un ben voluto possidente terriero ( e poi , tra l’altro, Podestà fascista…), brillante laureanda a Padova (le verrà conferito il titolo di studio alla memoria , nel 1949 e la storia la immagina viva per discutere la sua Tesi…), dopo l’8 settembre viene prelevata dai partigiani _facendo vece, suo malgrado, del papà_, seviziata e violentata da diciassette (!) individui e scaraventata ancora in vita in una foiba, denominata di “Villa Surani”. In un territorio di solido insediamento italiano , scomodo ai piani socialisti-federali della nascente, a guerra vinta e conclusa, Jugoslavia.

                        Tributato il riconoscimento alla persona, mi sento libero di affermare che il fumetto in sé s’impaluda in una retorica mediocrità.
                        E’ un’opera che (imho)concettualmente e stilisticamente sa di vecchio e polveroso; rimasta prigioniera di un propagandismo datato , semplicistico ed infine trombonescamente avvilente nello spiattellare il suo messaggio, sostanziandolo di una drammaturgia che passa dai “telefoni bianchi” della operosa ed in fondo spensierata vita universitaria ai finti bisticci in famiglia , degni dei finali di “Rin tin tin”(sic!). Il tutto a preparare l’irruzione _da pag.47_ dei comunistoni slavi, che in un amen traviano al totalitarismo rosso pure i villici riconoscenti ai Cossetto e sferzano i Balcani di unificazione ideologica, con disumana fermezza d’intenti e bestialità della prassi. Mentre le prime venti tavole sono spalmate di didascalie , tra la prosa marziale dei quotidiani d’epoca (a ritroso della Grande Guerra…)e versi aulici partoriti da intellettuali irredentisti , con sotto gli italiani-brava-gente che si stringono laboriosi alla terra “ricca di bauxite” dalmata ed istriana. Dunque i testi passano dal pomposo al telegrafico per seguire la splendida _ se vogliamo privilegiata_ normalità della Cossetto , che verrà ghermita dal suo fato, qui pudicamente non mostrato nella forma grafica. Il disegnatore a volte sballa con le proporzioni ed è un po’ anchilosato in alcune posture. Una impegnata attenzione ai panneggi acuisce però , insieme all’inchiostrazione, la sensazione di una a-temporale arcaicità, tipo ehm “Rebus della Settimana Enigmistica" od opuscolo per proselitismo religioso. Lo sforzo editoriale di vendere il volume anche in edicola , con l’abbinamento a “Il Giornale”, magari avrebbe richiesto l’avvicinamento linguistico consono ad un prodotto del 2018, mentre invece sembra quasi destinarsi a chi ha smesso di leggere fumetti non troppo dopo gli avvenimenti portati in luce da codesta biografia.
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                          LUTERO ( Mondadori)
                          Cartonato a colori. 56pp. 8,99€.
                          Testi_Olivier Jouvray / Disegni_ Filippo Cenni / Colori_ Alessia Nocera.
                          Una biografia a fumetti sulla figura di Martin Lutero (1483_1546), corredata in appendice da approfondimenti testuali di carattere storico , redatti con la consulenza del Prof. Matthieu Arnold ,che danno ragione anche delle inevitabili semplificazioni/omissioni e licenze interpretative imposte dalle canoniche (quarantasei) tavole a disposizione (oltre che, inevitabilmente, dalle necessità dell’arte sequenziale…), illustrate da F.Cenni con un segno che accetta di essere sporcato da qualche ribattitura (e perdita di compattezza in diversi secondi piani…)in ossequio all’urgenza di rendere la febbrile determinazione del soggetto in causa. Buono lo sviluppo verticale delle vedute architettoniche, sofisticate anche negli interni e legate da una espressiva e ben indirizzata gestione dei toni cromatici.
                          Suddito del Sacro Romano Impero (germanico) , il giovane Martin nel 1505 è un brillante neo laureato in legge , con la soddisfazione della sua famiglia; ma è pungolato dal timore di essere chiamato a rendere l’anima a Dio senza essere adeguato a meritare la Salvezza, in pace con le sue opere terrene, che pure svolge con grande scrupolo ed abnegazione (…encomiastica se veduta dall’esterno; penitente e parziale nella sua esigente auto-disciplina di credente e praticante). In una serata di tregenda, impaurito da un fulmine (ovvero di morire senza aver ricevuto i Sacramenti…) , rompe gli indugi e decide di darsi alla vita monacale, presso un ordine ispirato da S.Agostino dove, in seno allo studio ed all’insegnamento teologico acquista considerazione e solide basi culturali, che si impegna a girare al Volgo , anche grazie all’impetuoso impatto dell’invenzione della stampa a caratteri mobili. La sua crescente disaffezione ed insofferenza per l’amministrazione pecuniaria e mercantilistica delle opere di Fede lo spingono sdegnosamente a prendere le distanze dal Clero romano, fino a contestare la infallibilità dello stesso Pontefice, Leone X. Prendendo a parametro le Sacre Scritture redige e diffonde novantacinque Tesi dottrinali, che gli valgono l’avversione , la cieca collera ( poco confutata su basi strettamente teologiche…) con richiesta _fermamente respinta_ di abiura ed obbedienza , e la Scomunica della Chiesa di Roma. Ma il seme della Riforma sta germogliando insieme alla accresciuta popolarità di Lutero, che trova una sponda amica tra alti dignitari tedeschi che vogliono rimarcare spazi di autonomia politica territoriale dagli affari pure molto terreni del Papa. Tolto _ per sua sicurezza_per qualche tempo dalla circolazione M.L. produrrà una ulteriore grande mole di scritti religiosi ma si troverà a contrarre gli esiti violenti di una interpretazione arbitraria, interessata ed estremista delle sue posizioni_ che diversamente si stanno affermando , in collisione con il cattolicesimo di osservanza papale_ ; ed a rivedere alcune sue iniziative di contrizione, giungendo pure a prendere moglie. Morirà dunque nel suo letto, lasciando sei figli e la nuova Confessione del Protestantesimo!
                          Anche i testi rispettano un certo “mandato” di accessibilità , impregnandosi solo il minimo indispensabile del materiale intellettuale del contentendere, mettendo in luce la “spigolosità intransigente” del Lutero cattedratico , ma pure _specie all’inizio_ le sue aperture conviviali, giusto credo per non farne un “automa”perennemente inciprignito e piegato sulla inamovibilità delle sue ragioni . Per quanto ampia sia la portata riformista del suo credo , di passata si fa’ comunque notare come non abbia lambito la natura consolidata dei rapporti di Classe , e tradendo una certa ritrosia ad attardarsi su una speculazione eminentemente filosofica. Efficace ( come riportato: controversa sotto il profilo della attendibilità…)e sferzante la cover (imho).


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                            4HOODS 1. Il Castello di ghiaccio
                            SBE. 66pp., a colori. 3,50€.
                            Ep.Il Castello di ghiaccio. Testi_Federico Rossi Endrighi/Disegni_ Federico Rossi Endrighi e Riccardo Torti / Colori_ Annalisa Leoni e Gabriele Bagnoli.
                            Ep. Tunnel e Troll. Testi_ Roberto Recchioni / Disegni_ Riccardo Torti / Colori_ Annalisa Leoni.

                            Albo spillato, in formato 17x23 che rappresenta la nuova offerta editoriale di Sergio Bonelli Editore calibrata per acchiappare e coltivare un pubblico “Young”. Da lettore abbondantemente fuori target (xD) dunque, osservo che le storie ( in questo numero : la principale è in due parti; e dopo tre pp. di redazionali viene riproposto il “numero zero” che ha annunciato la testata…), perentoriamente assegnate al genere “Fantasy Avventuroso” sulla falsariga dei “Giuochi Di Ruolo” ,hanno sì una trama piuttosto elementare e tipica ma tuttavia i riferimenti culturali _anche autoreferenziali_ disseminati nei corposi dialoghi probabilmente trascendono l’orizzonte conoscitivo della prima infanzia ed ammiccano ad una fascia “Teen” e forse oltre.
                            C’è una specie di Compagnia ( “Massoneria”?) di “avventurosi”, in cui gli iscritti (niente tecnologia od armi da fuoco: si va’ di mondi esoterici e medievaleggianti…),in particolare Quattro (diversi e complementari ecc…), trovano sempre il modo di andare all’esplorazione pugnace di ambienti maestosi, impervi e di norma ostili per la presenza di svariati e malintenzionati antagonisti, magari per salvare una Principessa…Invero parecchio emancipata di suo e pure lei associata al circolo guascone, capitanato da un vecchio saggio e “Dotto” secondo convenzione (…sbertucciata a suo tempo dal compianto Tommaso Labranca). Poi magari finisce con un “bel nulla” di fatto, fedele al genere ( del racconto cinematografico popolare) “commedia all’italiana”.
                            Curiose le scelte in campo grafico. Si intravvede che i personaggi hanno (avrebbero)un aspetto antropomorfo…Ma vengono perlopiù rappresentati con una deformazione spinta oltremodo all’essenzialità _ giocandovi a supporto invece una sgargiante riconoscibilità cromatica_ , quasi fossero segna-posti di un gioco appunto , ed un po’ vicini a certi esercizi di animazione comunicativa da Accademia Disney ( ma sembrano editati su sfondi pittoricamente predefiniti , alla maniera di “Saga”); e col palesato incoraggiamento ai lettori di ricopiarli e re-interpretarli , eccedendo gli spazi cartacei di un comic che vedremo se saprà conquistarsi un suo spazio, una volta si spera arrivato a farsi conoscere dal (suo) pubblico di riferimento.


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                              LUPO MAGAZINE
                              Panini Comics. 66pp., b/n.4,50€.

                              Il tema monografico di questo numero è il cibo, indagato anche nei suoi aspetti di aggregatore della socialità e della sua apertura culturale conoscitiva, tramite interviste- inchieste ad addetti ai lavori, e brevi dissertazioni umoristiche in argomento. Due le storie a fumetti , impostate ed articolate sulle pagine coperte : quaranta ed otto.
                              Ep. 1 : “Mano santa”. Testi_Piero Lusso/ Disegni_ Giacomo Michelon.
                              Il titolo è una storpiatura di una ben nota società di _ come si dice ora_ “soluzioni per l’agricoltura” di semenze, fertilizzanti e fitofarmaci “brevettati” e ri-progettati “in lab” (i famosi e/o famigerati O.G.M) per essere spinti nelle coltivazioni in maniera pervasiva, esclusiva e tendenzialmente ineludibile ,laddove s’insedia ,tra codicilli infidi ed aggressive tecniche di marketing persuasivo. Un incubo ad occhi aperti per la fattoria cooperativa McKenzie, che sembra strizzare l’occhio al catastrofismo complottista, anche per criticare un decisionismo monocratico contrabbandato a priori subdolamente per efficientismo . Ampio dispiego di particolari grafici e buoni layout a refertare gli espressivi disegni.
                              Ep2. Casa La Talpa (H2o=0,01%). Testi e Disegni_Silver.
                              Atmosfera più raccolta e minimale, da serata con foschia ed elementi grafici sfumati in funzione evocativa per una breve storia tutta giocata su un monologo di Lupo Alberto ( presente in un ruolo solo testimoniale nel primo segmento narrativo…)che, infervorato sciorina alla talpa Enrico un trattatello sulle condizioni di vita(presunte) dei contadini nepalesi , sballottati tra l’arcaicità tradizionalista delle loro condizioni familiari e le “regole”imperativamente imposte e stringenti della globalizzazione. Un modo, immagino, per canzonare un certo terzomondismo “da salotto”, finto impegnato e forse qualunquista.




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                                ALIENS [12]
                                Saldapress. 48pp., a colori. 3,20€.
                                Due episodi auto conclusi di ventidue tavole.
                                Ep.”Aliens_Spettro”. Testi_Jay Stephens / Disegni_ Eduardo Risso / Colori_Chris Chalenor.
                                In una colonia agricola, baciata da un sole e dalla flora rigogliosa arriva un giovanotto. Una compagnia di suoi coetanei cerca di fare amicizia. Una sera, per impressionarlo gli raccontano la storia di una misteriosa grotta nel bosco,che causa la scomparsa di chi si avventura ad esplorarla. Il nuovo arrivato, senza indugio , raccoglie la sfida ed immediatamente vi si introduce, scoprendo che…
                                Una “Urban Legend” ibridata con un “Teen Horror”: leggiamo un cartello arrugginito della “Weyland_Yutani”all’imbocco del budello sotterraneo, siamo in un fumetto di “Aliens” e…Non serve (dire) altro. Finale perfido e cinico. Disegni molto “funny”e non troppo aggraziati del sudamericano e ben noto E. Risso.

                                Ep.”Aliens Epurazione”. Testi_Ian Edginton/ Disegni_Phil Hester (matite)e Ande Parks (chine)/ Colori_Chris Chalenor.
                                Le ricerche di uno scienziato su dei malati di lebbra , la cui patologia influisce in modo inedito nell’eventualità di essere portatori dell’organismo alieno (!) vengono bruscamente interrotte dal delegato militare della W_Y , che le vuole smantellare per ragioni economiche. Lo studioso tuttavia ha “un piano di riserva” che può interessare i suoi (perversi) finanziatori…
                                Superato lo stupore iniziale nel vedere gli alieni che non aggrediscono a prescindere il canovaccio della vicenda si vota come al solito allo sterminio razziale. I progressi scientifici si fanno di nuovo mero pretesto per “mischiare le pere con le mele”, ovvero per ri-combinare elementi eterogenei in concorrenza come dal titolo; e con la sola accortezza di non configgere apertamente con le linee (narrative) guida ricavabili dagli script per il cinema della saga. Inscatolati da una severa inchiostratura, i disegni (colorati, come sopra , con toni gelatinosi)appaiono “cubettosi” in modo marcatamente stilizzato ,quasi da videogioco a 16 bit che (mi) ricorda cose di Giorgio Pontrelli e di Werther Dell’Edera; perfino, in qualche frangente, ostici da interpretare (imho).
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