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  • Quarto potere, di Orson Welles

    Il topic di axeman mi ha ricordato questa mia grave lacuna. Non ho molto da dire, quando un film è monumentale, è monumentale, e le parole sono inutili (lungi da me volere mettere in discussione lo statuto di questo film, e d'altronde sarebbe noioso ribadirlo).

    Un paio di annotazioni vorrei farle, se posso:

    1) mi pare, anche leggendo in internet, che un elemento (tra i tanti straordinari) non sia stato menzionato: l'uso straordinario che Welles fa di Bach;

    2) non sono d'accordo sul fatto che la bellezza del film stia nella sua "modernità". Innegabilmente il film presenta un montaggio e una sceneggiatura "moderni". Ma d'altra parte la grandezza del film, direi, sta nella sua NON modernità, e in ciò che si distanzia da essa. Un tratto tra tutti, la splendida fotografia. Non solo c'è una ricercatezza nelle inquadrature che ha poco di moderno (ma tanto di grande). Ma ovviamente lo stupendo bianco e nero permette di usare le luci in un modo tale che i moderni hanno dimenticato, o addirittura non saprebbero neanche fare. Se in più penso che questa è un'opera di esordio, mi viene quasi da provare invidia nei confronti di questo grande cineasta che ha esordito con un così grande film.

    3) Infine, una piccola nota "polemica", se vogliamo. Trovo assolutamente fuori luogo diciture tipo "IL più grande film della storia del cinema". E non perché il film non sia grande (lo è, senza dubbio) o innovativo (idem come prima). Ma grande e innovativo è stato anche 2001, e monumentale lo è anche Apocalypse Now. Diciamo che questo Citizen Kane non si merita un superlativo assoluto, come non se lo merita nessun altro film. Ma certo si merita un superlativo relativo: tra i più grandi film della storia del cinema, senza dubbio.

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    • Originariamente inviato da outis81 Visualizza il messaggio
      Quarto potere, di Orson Welles
      2) non sono d'accordo sul fatto che la bellezza del film stia nella sua "modernità". Innegabilmente il film presenta un montaggio e una sceneggiatura "moderni". Ma d'altra parte la grandezza del film, direi, sta nella sua NON modernità, e in ciò che si distanzia da essa. Un tratto tra tutti, la splendida fotografia. Non solo c'è una ricercatezza nelle inquadrature che ha poco di moderno (ma tanto di grande). Ma ovviamente lo stupendo bianco e nero permette di usare le luci in un modo tale che i moderni hanno dimenticato, o addirittura non saprebbero neanche fare. Se in più penso che questa è un'opera di esordio, mi viene quasi da provare invidia nei confronti di questo grande cineasta che ha esordito con un così grande film.

      3) Infine, una piccola nota "polemica", se vogliamo. Trovo assolutamente fuori luogo diciture tipo "IL più grande film della storia del cinema". E non perché il film non sia grande (lo è, senza dubbio) o innovativo (idem come prima). Ma grande e innovativo è stato anche 2001, e monumentale lo è anche Apocalypse Now. Diciamo che questo Citizen Kane non si merita un superlativo assoluto, come non se lo merita nessun altro film. Ma certo si merita un superlativo relativo: tra i più grandi film della storia del cinema, senza dubbio.
      Tutta la sequenza iniziale, da Xanadu e la morte di Kane, la successiva ricostruzione della vita "telegiornalistica" e successivamente umana rappresentano, a mio modo di vedere, i passaggi più fulminanti della Storia del Cinema. Sotto questo punto di vista, il film è assolutamente moderno. La narrazione e il conseguente montaggio sono avvenieristici ad un livello irraggiungibile, per non parlare della profondità di campo delle immagini. Qui sta soprattutto la sua modernità, imho. E questo Welles lo ha concepito e realizzato a 23/24 anni.

      Se poi, nella valutazione di miglior film della storia del Cinema rientra anche una componente di importanza storica, Citizen Kane sta indiscutibilmente in cima. E' il più grande. E' uscito nel 1941...


      Io invece riporto due, per me, capolavori assoluti che non sono mai stati trattati in queste sedi, che ho visto ieri, e che consiglio. Entrambi francesi.

      HIROSHIMA MON AMOUR, 1959 di Alain Resnais

      Un’attrice francese, arrivata a Hiroshima per girare un film pacifista, ha una relazione con un architetto giapponese. Nell’arco delle 36 ore d’amore che trascorreranno insieme, lei ricorderà un’altra storia amorosa avvenuta durante la Seconda guerra mondiale a Nevers, sua città natale, con un soldato tedesco, poi ucciso sotto il suo sguardo. La donna, rievocato il ricordo di quel primo amore, alla luce di un nuovo e sentito legame da scindere per ritornare alla famiglia che la attende a Parigi, rielabora infine il ricordo nostalgico e doloroso in memoria, consegnandola serenamente e consapevolmente all’oblio. Il primo lungometraggio di Resnais fonda le sue radici nel tempo e nella memoria, temi fondamentali del regista, sviluppandosi sul gioco dei contrari: differenze etniche e culturali, l’amante tedesco e l’amante giapponese, passato e presente, silenzio e monologo, ricordo e memoria, documentario e poesia, amore e morte, partecipazione e distacco, ma soprattutto, macroscopico e microscopico, laddove il ricordo per un amore finito tragicamente viene posto alla stregua di una tragedia umana di dimensioni storiche. Persino il titolo stesso suggestiona tali differenze. Se si tratta di un opera contenutisticamente evocativa e profonda, stilisticamente si pone ai vertici della Storia del Cinema: il miracolo registico di Resnais si traduce in un’innovativo uso dei flashback, del montaggio alternato, del taglio preciso e sublime delle inquadrature e dei lunghi piani sequenza lungo le vie di Hiroshima. I primi 15 minuti sono probabilmente una dei migliori momenti cinematografici in assoluto, per sconcertante inventiva, originalità narrativa cristallina, sovrapposizioni temporali, alternanza di immagini storiche a girato, tecniche registiche e profondità di immagini e pensieri.
      Quando uscì, venne definito come “il primo film che assomiglia solo a se stesso” e a ben vedere. Spesso ed erroneamente definito capostipite della Nouvelle vague, uscì infatti lo stesso anno dei 400 colpi, non ne possiede la stessa carica eversiva, bensì uno stile molto più raffinato e una modernità più ricercata, sono convinto che il film di Resnais stia sopra la Nouvelle vague. Lo definirei un vero e proprio film d’avanguardia, assolutamente straordinario e trai film più stupefacenti che mi sia capitato di vedere. Cito infine lo scambio di battute finale trai due amanti, esemplificativo di tutta l’opera:
      Hiroshima. E’ questo il tuo nome.
      E il tuo è Nevers.



      IL DISPREZZO (Le mépris) 1963 di Jean-Luc Godard

      Quando il Cinema si guarda allo specchio, e diventa arte. Il disprezzo è la straordinaria opera nella quale il cristallino talento registico di Godard decide di rivolgersi direttamente alla Settima arte stessa, attraverso uno sguardo critico e disincantato riguardo le sue condizioni, la dicotomia tra passato e presente e le difficoltà di conciliare le esigenze commerciali con le ambizioni artistiche dell’autore. Oltre a questo, l’opera è anche una libera rielaborazione dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, nella lenta e tragica crisi che colpisce la coppia protagonista, interpretata da Michel Piccoli, uno sceneggiatore, e la moglie, una devastantemente erotica Brigitte Bardot. Il film si fonda sulle contrapposizioni, e sui parallelismi. La storia, ambientata tra Cinecittà e Capri, ruota attorno allo sceneggiatore Paul, alle prese con i compromessi tra la fedeltà alla propria etica professionale e le opportunità pecuniarie offerte da un contratto per riscrivere la sceneggiatura di un film diretto da Fritz Lang sull’Odissea. Al regista tedesco, che interpreta sè stesso nella pellicola, si contrappone la figura del bieco e violento produttore americano, personificazione del dispotismo e del disinteresse artistico e culturale dell’industria cinematografica, specialmente quella hollywoodiana. Al contempo, nella sezione centrale del film, viene mostrata la graduale crisi della coppia francese, dove la moglie comincerà a disprezzare il marito per la sua arrendevolezza nei confronti del produttore, che cerca continuamente di sedurla. Come ogni film di Godard, la rappresentazione della donna non è lusinghiera, e nella fattispecie del Disprezzo viene mostrata come opportunista, contradditoria e attaccata alla materialità, come il produttore americano con il quale condividerà, nel finale, un destino tragico. Sono evidenti i parallelismi tra i personaggi dell’Odissea e i protagonisti del film stesso, dove Ulisse è lo sceneggiatore francese, Penelope la moglie e Nettuno il “nemico” produttore. La metacinematograficità dell’opera si evince anche nel rapporto tra classicità e modernità, dove Godard sembra quasi sconfessare e ridimensionare l’operazione sperimentale della Nouvelle vague, in favore di un recupero dei valori classici della tradizione cinematografica. Le scelte di utilizzare Fritz Lang come ultimo baluardo di un buon fare Cinema e l’Odissea come testo da adattare, oltre ad uno stile registico più sobrio e meno “eversivo” rispetto a Fino all’ultimo respiro sono indicative di ciò. Per questi aspetti, il disprezzo che traspare dal pensiero di Godard, sintetizzato nel concetto della consuetudine obbligata con la quale gli autori si svendono al produttore di turno per potersi in qualche modo esprimere, smaschera un mondo dove questa contrapposizione si riflette in ogni ambito, quindi non solamente nell’arte e nella cultura, ma anche negli ideali e nelle ragioni del cuore, come succede nella parabola della coppia sposata.
      A mio parere Il disprezzo rappresenta sia il vertice creativo del cinema di Godard, sia l’esempio più lucido e maturo della corrente di cui fa parte, mettendo idealmente fine all’esperimento cinematografico della Nouvelle vague.
      Invece, il produttore italiano del film, Carlo Ponti, come a voler confermare le tesi di Godard, reputò il film invendibile e lo trucidò con tagli e modifiche sostanziali, accorciandolo di venti minuti, modificando l’ordine di alcune sequenze, cancellando la splendida colonna sonora di Delerue con delle nuove musiche scanzonate e ridoppiandolo vanificando la comunicazione tra le tre diverse lingue presenti nel film. Per questo l’unica versione visionabile è quella uscita in Francia. Per finire, cito l’originalità del prologo, nel quale vediamo la cinepresa rivolgersi direttamente verso l’obiettivo di Godard dopo un lungo piano sequenza, accompagnato dai crediti del film, che non sono scritti sullo schermo bensì descritti a voce, sulle note di una citazione del grande critico André Bazin: il Cinema sostituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo. Il disprezzo è la storia di questo mondo. Cito inoltre una battuta fulminante del produttore americano impersonato da Jack Palance: Quando sento la parola "cultura", tiro subito fuori il libretto degli assegni. Un capolavoro.
      La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.

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        Quarto potere, di Orson Welles
        2) non sono d'accordo sul fatto che la bellezza del film stia nella sua "modernità". Innegabilmente il film presenta un montaggio e una sceneggiatura "moderni". Ma d'altra parte la grandezza del film, direi, sta nella sua NON modernità, e in ciò che si distanzia da essa. Un tratto tra tutti, la splendida fotografia. Non solo c'è una ricercatezza nelle inquadrature che ha poco di moderno (ma tanto di grande). Ma ovviamente lo stupendo bianco e nero permette di usare le luci in un modo tale che i moderni hanno dimenticato, o addirittura non saprebbero neanche fare. Se in più penso che questa è un'opera di esordio, mi viene quasi da provare invidia nei confronti di questo grande cineasta che ha esordito con un così grande film.

        3) Infine, una piccola nota "polemica", se vogliamo. Trovo assolutamente fuori luogo diciture tipo "IL più grande film della storia del cinema". E non perché il film non sia grande (lo è, senza dubbio) o innovativo (idem come prima). Ma grande e innovativo è stato anche 2001, e monumentale lo è anche Apocalypse Now. Diciamo che questo Citizen Kane non si merita un superlativo assoluto, come non se lo merita nessun altro film. Ma certo si merita un superlativo relativo: tra i più grandi film della storia del cinema, senza dubbio.
        Tutta la sequenza iniziale, da Xanadu e la morte di Kane, la successiva ricostruzione della vita "telegiornalistica" e successivamente umana rappresentano, a mio modo di vedere, i passaggi più fulminanti della Storia del Cinema. Sotto questo punto di vista, il film è assolutamente moderno. La narrazione e il conseguente montaggio sono avvenieristici ad un livello irraggiungibile, per non parlare della profondità di campo delle immagini. Qui sta soprattutto la sua modernità, imho. E questo Welles lo ha concepito e realizzato a 23/24 anni.

        Se poi, nella valutazione di miglior film della storia del Cinema rientra anche una componente di importanza storica, Citizen Kane sta indiscutibilmente in cima. E' il più grande. E' uscito nel 1941...


        Io invece riporto due, per me, capolavori assoluti che non sono mai stati trattati in queste sedi, che ho visto ieri, e che consiglio. Entrambi francesi.

        HIROSHIMA MON AMOUR, 1959 di Alain Resnais

        Un’attrice francese, arrivata a Hiroshima per girare un film pacifista, ha una relazione con un architetto giapponese. Nell’arco delle 36 ore d’amore che trascorreranno insieme, lei ricorderà un’altra storia amorosa avvenuta durante la Seconda guerra mondiale a Nevers, sua città natale, con un soldato tedesco, poi ucciso sotto il suo sguardo. La donna, rievocato il ricordo di quel primo amore, alla luce di un nuovo e sentito legame da scindere per ritornare alla famiglia che la attende a Parigi, rielabora infine il ricordo nostalgico e doloroso in memoria, consegnandola serenamente e consapevolmente all’oblio. Il primo lungometraggio di Resnais fonda le sue radici nel tempo e nella memoria, temi fondamentali del regista, sviluppandosi sul gioco dei contrari: differenze etniche e culturali, l’amante tedesco e l’amante giapponese, passato e presente, silenzio e monologo, ricordo e memoria, documentario e poesia, amore e morte, partecipazione e distacco, ma soprattutto, macroscopico e microscopico, laddove il ricordo per un amore finito tragicamente viene posto alla stregua di una tragedia umana di dimensioni storiche. Persino il titolo stesso suggestiona tali differenze. Se si tratta di un opera contenutisticamente evocativa e profonda, stilisticamente si pone ai vertici della Storia del Cinema: il miracolo registico di Resnais si traduce in un’innovativo uso dei flashback, del montaggio alternato, del taglio preciso e sublime delle inquadrature e dei lunghi piani sequenza lungo le vie di Hiroshima. I primi 15 minuti sono probabilmente il miglior momento cinematografico in assoluto, per sconcertante inventiva, originalità narrativa cristallina, sovrapposizioni temporali, alternanza di immagini storiche a girato, tecniche registiche e profondità di immagini e pensieri.
        Quando uscì, venne definito come “il primo film che assomiglia solo a se stesso” e a ben vedere. Spesso ed erroneamente definito capostipite della Nouvelle vague, uscì infatti lo stesso anno dei 400 colpi, non ne possiede la stessa carica eversiva, bensì uno stile molto più raffinato e una modernità più ricercata, sono convinto che il film di Resnais stia sopra la Nouvelle vague. Lo definirei un vero e proprio film d’avanguardia, assolutamente straordinario e trai film più stupefacenti che mi sia capitato di vedere. Cito infine lo scambio di battute finale trai due amanti, esemplificativo di tutta l’opera:
        Hiroshima. E’ questo il tuo nome.
        E il tuo è Nevers.



        IL DISPREZZO (Le mépris) 1963 di Jean-Luc Godard

        Quando il Cinema si guarda allo specchio, e diventa arte. Il disprezzo è la straordinaria opera nella quale il cristallino talento registico di Godard decide di rivolgersi direttamente alla Settima arte stessa, attraverso uno sguardo critico e disincantato riguardo le sue condizioni, la dicotomia tra passato e presente e le difficoltà di conciliare le esigenze commerciali con le ambizioni artistiche dell’autore. Oltre a questo, l’opera è anche una libera rielaborazione dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia, nella lenta e tragica crisi che colpisce la coppia protagonista, interpretata da Michel Piccoli, uno sceneggiatore, e la moglie, una devastantemente erotica Brigitte Bardot. Il film si fonda sulle contrapposizioni, e sui parallelismi. La storia, ambientata tra Cinecittà e Capri, ruota attorno allo sceneggiatore Paul, alle prese con i compromessi tra la fedeltà alla propria etica professionale e le opportunità pecuniarie offerte da un contratto per riscrivere la sceneggiatura di un film diretto da Fritz Lang sull’Odissea. Al regista tedesco, che interpreta sè stesso nella pellicola, si contrappone la figura del bieco e violento produttore americano, personificazione del dispotismo e del disinteresse artistico e culturale dell’industria cinematografica, specialmente quella hollywoodiana. Al contempo, nella sezione centrale del film, viene mostrata la graduale crisi della coppia francese, dove la moglie comincerà a disprezzare il marito per la sua arrendevolezza nei confronti del produttore, che cerca continuamente di sedurla. Come ogni film di Godard, la rappresentazione della donna non è lusinghiera, e nella fattispecie del Disprezzo viene mostrata come opportunista, contradditoria e attaccata alla materialità, come il produttore americano con il quale condividerà, nel finale, un destino tragico. Sono evidenti i parallelismi tra i personaggi dell’Odissea e i protagonisti del film stesso, dove Ulisse è lo sceneggiatore francese, Penelope la moglie e Nettuno il “nemico” produttore. La metacinematograficità dell’opera si evince anche nel rapporto tra classicità e modernità, dove Godard sembra quasi sconfessare e ridimensionare l’operazione sperimentale della Nouvelle vague, in favore di un recupero dei valori classici della tradizione cinematografica. Le scelte di utilizzare Fritz Lang come ultimo baluardo di un buon fare Cinema e l’Odissea come testo da adattare, oltre ad uno stile registico più sobrio e meno “eversivo” rispetto a Fino all’ultimo respiro sono indicative di ciò. Per questi aspetti, il disprezzo che traspare dal pensiero di Godard, sintetizzato nel concetto della consuetudine obbligata con la quale gli autori si svendono al produttore di turno per potersi in qualche modo esprimere, smaschera un mondo dove questa contrapposizione si riflette in ogni ambito, quindi non solamente nell’arte e nella cultura, ma anche negli ideali e nelle ragioni del cuore, come succede nella parabola della coppia sposata.
        A mio parere Il disprezzo rappresenta sia il vertice creativo del cinema di Godard, sia l’esempio più lucido e maturo della corrente di cui fa parte, mettendo idealmente fine all’esperimento cinematografico della Nouvelle vague.
        Il produttore italiano del film, Carlo Ponti, come a voler confermare le tesi di Godard, reputò il film invendibile e lo trucidò con tagli e modifiche sostanziali, accorciandolo di venti minuti, modificando l’ordine di alcune sequenze, cancellando la splendida colonna sonora di Delerue con delle nuove musiche scanzonate e ridoppiandolo vanificando la comunicazione tra le tre diverse lingue presenti nel film. Per questo l’unica versione visionabile è quella uscita in Francia. Per finire, cito l’originalità del prologo, nel quale vediamo la cinepresa rivolgersi simbolicamente proprio verso l’obiettivo di Godard, dopo un lungo piano sequenza, accompagnato dai crediti del film, che non sono scritti sullo schermo bensì descritti a voce, sulle note di una citazione del grande critico André Bazin: il Cinema sostituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo. Il disprezzo è la storia di questo mondo. Cito inoltre una battuta fulminante del produttore americano impersonato da Jack Palance: Quando sento la parola "cultura", tiro subito fuori il libretto degli assegni. Un capolavoro.
        La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.

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        • Originariamente inviato da Dwight Visualizza il messaggio
          Tutta la sequenza iniziale, da Xanadu e la morte di Kane, la successiva ricostruzione della vita "telegiornalistica" e successivamente umana rappresentano, a mio modo di vedere, i passaggi più fulminanti della Storia del Cinema. Sotto questo punto di vista, il film è assolutamente moderno. La narrazione e il conseguente montaggio sono avvenieristici ad un livello irraggiungibile, per non parlare della profondità di campo delle immagini. Qui sta soprattutto la sua modernità, imho. E questo Welles lo ha concepito e realizzato a 23/24 anni.
          Attenzione, io non volevo negare i tratti innovativi del film. Intendevo dire che è una innovazione che ben pochi moderni riuscirebbero ad eguagliare. Non volevo ridimensionare il film, volevo, al contrario, metterlo nella giusta ottica: non è che è un bel film perché sembra moderno (questo sarebbe ridimensionarlo), è un bel film perché è di altissimo livello. Ripeto, sono ben pochi i moderni che riuscirebbero non dico a riproporre, ma anche solo cercare di controllare lo stile che c'è in questo film.


          Originariamente inviato da Dwight Visualizza il messaggio
          Se poi, nella valutazione di miglior film della storia del Cinema rientra anche una componente di importanza storica, Citizen Kane sta indiscutibilmente in cima. E' il più grande. E' uscito nel 1941...
          Ma per me non ha senso la domanda, non tanto la risposta. È una domanda che si fa solo nel cinema, perché nessuno si chiede quale sia IL più bel libro della letteratura occidentale. Anche perché, in base al criterio che dici tu, sarebbe l'Iliade, e tanti saluti.

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          • Originariamente inviato da outis81 Visualizza il messaggio
            Quarto potere, di Orson Welles

            ...

            3) Infine, una piccola nota "polemica", se vogliamo. Trovo assolutamente fuori luogo diciture tipo "IL più grande film della storia del cinema". E non perché il film non sia grande (lo è, senza dubbio) o innovativo (idem come prima). Ma grande e innovativo è stato anche 2001, e monumentale lo è anche Apocalypse Now. Diciamo che questo Citizen Kane non si merita un superlativo assoluto, come non se lo merita nessun altro film. Ma certo si merita un superlativo relativo: tra i più grandi film della storia del cinema, senza dubbio.
            outis, se c'è un film sul quale non si può non essere "dogmatici", questo è Quarto potere

            col mio consueto fare categorico mi sento di affermare, senza alcun timore di smentita, che Quarto potere è IL FILM ed Orson Welles è IL REGISTA :sisisi:

            I motivi sono tantissimi, la maggior parte già li conoscete e adesso non ho il tempo necessario per approfondirli a dovere, quindi non lo faccio per niente ;D

            però poi dopo, magari, ci ritorno sull'argomento


            @Dwight
            hai visto anche altro di Resnais ? ad esempio L'anno scorso a Marienbad e Providence che sono i miei preferiti insieme a quello che hai recensito tu
            "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


            Votazione Registi: link

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            • Secondo me domandarsi quale sia il film più grande può avere un senso adesso, grazie al fatto che il cinema ha 'solo' un secolo di storia. Per quanto la società si sia evoluta e siano stati registrati profondi mutamenti, c'è una sorta di filo comune che ci permette di dire che siamo sì distanti dalla gente degli anni '20-'30 o '40, ma possiamo ancora capire i modi di vivere e pensare di allora (pur prendendone le distanze a volte), perché da un punto di vista culturale ci si è evoluti, si è mutati profondamente, ma non c'è stato un totale stravolgimento. Con la letteratura invece per me è già impossibile: i libri attraversano non secoli, ma millenni, per cui alcune culture, altro che evoluzione!, sono state proprio spazzate via dal tempo e non esistono più. Quando non avrà più senso parlare di più grande film di sempre? Quando nel 2300 ci troveremo qui a discutere (sono ottimista :seseh, allora presumo che i mutamenti siano stati così profondi che si parlerà di Quarto Potere come film più grande di questo periodo, non in assoluto. (Spero di essere riuscito a spiegarmi, nel caso proverò a riformulare il pensiero, non voglio creare equivoci asd)

              Ora provo ad addentrarmi in un discorso più pericoloso e da prendere con le pinze. Perché ritengo in una certa maniera Quarto Potere più innovativo di 2001 o Apocalypse Now? Qua sono d'accordo con Dwight, perché è del 1941. Si è inventato (o ha migliorato definitivamente in altri casi) delle soluzioni tecniche che sono diventate un canone cinematografico. Forse il cinema si sarebbe comunque evoluto un pezzettino alla volta, inizia un regista con un po' di profondità di campo qua, un altro sperimenta con il pianosequenza, un terzo si mette a giocare col grandangolo... forse un passaggio graduale dal cinema d'inizi a quello moderno ci sarebbe stato comunque. Ma con Quarto Potere a mio parere possiamo dividere nettamente tra un prima e un dopo. E' il più grande di tutti non perché ha un'innovazione tecnica (altri film ce l'hanno, eccome), ma perché ne ha un sacco condensate in un meccanismo perfetto in due ore tonde tonde.

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              • Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggio
                @Dwight
                hai visto anche altro di Resnais ? ad esempio L'anno scorso a Marienbad e Providence che sono i miei preferiti insieme a quello che hai recensito tu
                Ho visto solo il documentario Notte e nebbia... Quei due, soprattutto il primo, conto di recuperarli presto. Invece mi pare di ricordare di aver visto un tuo 6,5 a Il disprezzo nel topic dei voti... non ti piace?
                La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.

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                • Il disprezzo l'ho visto una sola volta e non mi lasciò particolarmente esaltato, magari anche perchè ho visto la versione italiana che so essere pesantemente tagliata, addirittura stravolta secondo alcuni. Mi lasciò perplesso soprattutto il modo di "fare a pezzi", programmaticamente, il romanzo ispiratore di Moravia, quasi per usare il materiale di partenza contro l'autore. Questa operazione mi sembrò alquanto presuntuosa, insomma tipicamente francese asd.

                  Però andrebbe vista la versione originale, cosa che, prima o poi, farò ...
                  "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


                  Votazione Registi: link

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                  • Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggio
                    Il disprezzo l'ho visto una sola volta e non mi lasciò particolarmente esaltato, magari anche perchè ho visto la versione italiana che so essere pesantemente tagliata, addirittura stravolta secondo alcuni. Mi lasciò perplesso soprattutto il modo di "fare a pezzi", programmaticamente, il romanzo ispiratore di Moravia, quasi per usare il materiale di partenza contro l'autore. Questa operazione mi sembrò alquanto presuntuosa, insomma tipicamente francese asd.

                    Però andrebbe vista la versione originale, cosa che, prima o poi, farò ...
                    Per me il senso del romanzo permane, nei protagonisti e nella loro graduale incomunicabilità e alienazione. Poi, l'indifferenza apatica della moglie è presentata perfettamente della Bardot. Certo Godard lo rielabora profondamente, però dimostra di aver compreso il contenuto dell'opera.

                    Comunque la versione italiana è un macello, un insulto, che fa sembrare la versione cinematografica dell'Infernale Quinlan come una versione modificata all'acqua di rose. Come livello di deturpazione siamo al livelli della versione italiana di Solaris. Come pecca del film, potrei pensare ad una caratterizzazione troppo estremizzata del produttore, ma visto come è stato trattato Il disprezzo da Carlo Ponti anche questa critica cade...

                    Ti consiglio caldamente di riscoprirlo, il film che hai visto non rispecchia minimamente l'opera di Godard...
                    La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.

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                    • ok, grazie

                      in effetti è già presente nella lista personale dei film "da rivedere" per più adeguata rivalutazione asd

                      è il tempo che scarseggia, purtroppo ... :
                      "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


                      Votazione Registi: link

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                      • Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggio
                        ok, grazie

                        in effetti è già presente nella lista personale dei film "da rivedere" per più adeguata rivalutazione asd

                        è il tempo che scarseggia, purtroppo ... :
                        Io ne sto approfittando perchè tra brutto tempo e la partenza per le vacanze tra una settimana ho un bello spazio libero. Ieri ho rivisto Giungla d'asfalto e il giudizio si è alzato. Il migliore di Huston, meglio del Mistero del falco. Insieme a La fiamma del peccato è forse il noir che considero al vertice... Invece, mi sono reso conto solo adesso di come Il tesoro della Sierra Madre sia invecchiato male, come tutti i finti capolavori. Rimane sempre ottimo, comunque.

                        Oggi scopro Rossellini, di cui non ho mai visto niente a parte Germania anno zero... ed è abbastanza grave!
                        La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.

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                        • Originariamente inviato da Dwight Visualizza il messaggio
                          Ieri ho rivisto Giungla d'asfalto e il giudizio si è alzato. Il migliore di Huston, meglio del Mistero del falco. Insieme a La fiamma del peccato è forse il noir che considero al vertice...
                          concordo :sisisi:

                          Originariamente inviato da Dwight Visualizza il messaggio
                          Oggi scopro Rossellini, di cui non ho mai visto niente a parte Germania anno zero... ed è abbastanza grave!
                          è vero però gli preferisco Visconti :seseh:

                          chiaramente non parlo di Fellini perchè sta su un altro pianeta
                          "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


                          Votazione Registi: link

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                          • DWIGHT:
                            li ho tutti in cassetta o dvd; e mi ricordo pure la rassegna su Bogart di RAI2:
                            Una pallottola per Roy; Strada sbarrata; I bassifondi di San Francisco...asd

                            Cambiando decisamente genere e spessore, una curiosità su
                            [color="#ff0000"]A TIME FOR DANCING [color="#ff0000"] dato ieri da Italia uno: nel trailer italiano mi pareva fosse il ragazzo a chiedere un rapporto alla ragazza della chemio; nel film è il contrario.
                            Magari è solo la mia memoria...Non tengo a rivedere la prevedibile e pedestre copia di Saranno Famosi, peraltro non la prima né l'ultima.:seseh:
                            "...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"

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                            • Originariamente inviato da Socio Visualizza il messaggio
                              Con la letteratura invece per me è già impossibile: i libri attraversano non secoli, ma millenni, per cui alcune culture, altro che evoluzione!
                              A costo di volere sembrare categorico, questa frase comunque non è vera. Se parliamo di influenza culturale, in ambito letterario, artistico, religioso, musicale, etc., i testi più influenti della cultura occidentale sono l'Iliade, l'Odissea e la Bibbia. Bada bene che tu scrivi "per me", ma per la storia della letteratura e la storia della cultura occidentale non ci sono molti dubbi su questo. Il punto è un altro: nessuno storico della letteratura ti direbbe che la Bibbia e i poemi omerici sono i testi più grandi della letteratura solo perché i più influenti. Ti direbbe giustamente che il giudizio estetico e il giudizio storico sono due cose diverse. È un argomento, questo, che ho portato più volte, e sono stato "accusato" di fare dei sofismi asd In realtà se io andassi ad un esame di letteratura greca e dicessi "i poemi omerici sono i testi più belli della letteratura perché sono i più influenti" mi farebbero notare (e giustamente) che "bello" e "influente" non sono la stessa cosa, e mi direbbero "caro Agatino, magari torni la prossima volta". E te lo dice uno che prima di fare filosofia ha fatto un anno di lettere classiche


                              Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggio
                              outis, se c'è un film sul quale non si può non essere "dogmatici", questo è Quarto potere

                              col mio consueto fare categorico mi sento di affermare, senza alcun timore di smentita, che Quarto potere è IL FILM ed Orson Welles è IL REGISTA :sisisi:

                              I motivi sono tantissimi, la maggior parte già li conoscete e adesso non ho il tempo necessario per approfondirli a dovere, quindi non lo faccio per niente ;D
                              David, conosco i tuoi argomenti in merito Non ti costringo a riscriverli. Semplicemente non li condivido. A mio parere decretare IL regista e IL film più grande della storia del cinema non ha senso, perché inevitabilmente si sceglieranno dei criteri arbitrari (perché l'innovazione tecnica è comunque un criterio discutibile, perché uno potrebbe usare come criterio l'innovazione tecnica e la profondità metafisica del film, e avremmo 2001; e non sarebbe un criterio più arbitrario). Come ho già detto a Dwight, io non discuto la risposta, discuto la domanda.

                              Che, ripeto, è una domanda che sento (leggo) solo quando si parla di cinema.

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                              • outis, occhio che quando io dico "IL FILM" non intendo il più bello che è un concetto ampiamente soggettivo e, quindi, relativo quanto discutibile.

                                Io intendo il film più importante, il film simbolo, quello che per forma, contenuti, portata, innovazioni ed influenze ha cambiato (anzi rivoluzionato) la storia del cinema, dando inizio al cinema "moderno". E su questo non ho alcun dubbio nella scelta: se dovessi utilizzare un film come manifesto del cinema, per mostrarlo a qualcuno che lo ignorasse o per tramandarlo ai posteri, non ci sarebbe rappresentante più degno e meritevole di Quarto potere :sisisi:

                                e lo stesso dicasi per il Welles regista :sisisi:
                                "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


                                Votazione Registi: link

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