Il mio preferito dopo Quarto Potere resta L'orgoglio degli Amberson(un vero capolavoro, tanto quanto Quarto Potere, che ha dalla sua, in più, "solo" un grandissimo, ma prevedibile, impatto sulla società)... poi c'è Il Processo(che ha saputo trasporre splendidamente Kafka), poi La Signora di Shanghai, Histoire immortelle e solo in coda Quinlan, che è sempre stato la mia bestia nera...
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Originariamente inviato da Marv Visualizza il messaggiosolo in coda Quinlan, che è sempre stato la mia bestia nera..."E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
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Scusate, chiedo un chiarimento :huh:
Ho appena finito di vedere Germania anno zero... o almeno credo. :uhhm: Sulla confezione c'è scritto che dura 100 minuti, ma al 70esimo è uscita la parola "Fine". A me sembra un film completo in tutto e per tutto: inizio, svolgimento e fine, tutto perfettamente coerente, sia in tempi di sceneggiatura, scrittura dei personaggi e quant'altro. Mi sembra quindi strano che manchi addirittura mezz'ora di film, se non impossibile. E' una svarionata della confezione del dvd, vero?
Sulle preferenze personali, io credo che L'orgoglio degli Amberson non abbia la fama che merita. Nessuno ne parla male, per carità, ma mi sembra una delle massime vette del regista e credo che meriterebbe di essere ricordata come tale. L'impressione è che soffra un po' ancora del 'flop' dell'epoca, dovuto anche all'assenza di Welles attore.
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Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggiostrano, secondo me te lo devi rivedere asd
o sei "allergico" a Charlton Heston che fa il messicano ? xD
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Originariamente inviato da Socio Visualizza il messaggioScusate, chiedo un chiarimento :huh:
Ho appena finito di vedere Germania anno zero... o almeno credo. :uhhm: Sulla confezione c'è scritto che dura 100 minuti, ma al 70esimo è uscita la parola "Fine". A me sembra un film completo in tutto e per tutto: inizio, svolgimento e fine, tutto perfettamente coerente, sia in tempi di sceneggiatura, scrittura dei personaggi e quant'altro. Mi sembra quindi strano che manchi addirittura mezz'ora di film, se non impossibile. E' una svarionata della confezione del dvd, vero?
Che coincidenza, io ho appena finito di vedere Roma città aperta e Paisà. Più tardi mi guardo anche Viaggio in Italia... come la vedi la trilogia della guerra di Rossellini? Il tuo preferito?
Originariamente inviato da Marv Visualizza il messaggioMah, diciamo che sin dalla prima volta non mi ha coinvolto...
Comunque ringraziamolo il futuro Ben-Hur... nonostante il baffetto e l'abbronzatura. Fu grazie a lui che Welles ebbe l'incarico di dirigere il film. In origine Welles doveva solo interpretare Quinlan, squattrinato com'era, ma Heston si impose e volle chiedere alla Universal di fargli anche dirigere il film, in una sorta di ricatto. Infatti, se i vertici non avessero acconsentito, Heston avrebbe abbandonato il progetto, così per non perdersi la star accettarono Welles al timone. Che ovviamente, preso il comando, fece un film di Orson Welles, che non piaceva ai produttori. Ma il resto è storia...La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.
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Originariamente inviato da Dwight Visualizza il messaggioGermania anno zero è giusto che duri 70 minuti, è una svarionata bella e buona.
Che coincidenza, io ho appena finito di vedere Roma città aperta e Paisà. Più tardi mi guardo anche Viaggio in Italia... come la vedi la trilogia della guerra di Rossellini? Il tuo preferito?
Ah, e grazie per il chiarimento sulla durata. Perfetto così allora.
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-L'esorcista-
Ok, non vorrei parlare del film in sè, ma del fatto che è estate e siccome devo necessariamente lasciare aperte le finestre dato il caldo, mi imbatto tutte le mattine verso le 6:00 con la voce della vicina di casa, dalla finestra di fronte casa mia, che riesce ad emulare perfettamente i suoni gutturali, i gorgoglii e i versi di Regan MacNeil (Linda BLair). Immaginate i miei risvegli cosa possono essere. Se dovessi vedere il film ora, sarebbe un cartone animato, visto cosa devo sopportare quotidianamente.
Quindi non metto voto al film, ma una bella CROCE.... ^^'
P.S. Giuro che è tutto vero....
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ROMA, CITTA’ APERTA, 1945 di Roberto Rossellini
Le vicende di una popolana, di un prete e di un ingegnere comunista sono lo specchio per raccontare la realtà quotidiana e le condizioni sociali nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti. Il film è considerato il capostipite del neorealismo italiano, nonostante il primo esempio di tale corrente si può trovare già nell’Ossessione di Visconti del 1943. Roma città aperta rappresenta però la pietra angolare di questo tipo di cinema, l’esempio più folgorante sopra il quale il neorealismo stesso verrà teorizzato e assimilato. Girato tra mille difficoltà, in un contesto veritiero di ricostruzione, con attori non professionisti, con uno stile diretto e documentaristico, limitato a filmare il reale, le cose così come sono, diventerà uno dei più grandi successi di critica e pubblico del Cinema italiano.
Nonostante tutto, mi sento di fare qualche appunto, precisando che nonostante l’importanza storica indiscutibile del film, non considero Roma città aperta il capolavoro di Rossellini, come molti dicono. Trovo che il film soffra di alcuni difetti legati all’evidente distinzione tra lampi di cruda realtà e forzature “romanzesche”, in un continuo tentativo di bilanciamento tra veridicità e retorica populista. Indubbiamente si tratta di un film perfettamente puntuale con i tempi, il film giusto, manifesto di una condizione alla luce della prospettiva di ricostruzione, uscito esattamente nel momento giusto. Anche per questo non mi ha convinto a pieno la rappresentazione della lotta antifascista, perchè presta l’attenzione solo all’aspetto morale e mai a quello politico. Rossellini riuscirà comunque a confezionare il capolavoro stilisticamente più emblematico della corrente del neorealismo con il successivo Paisà, nonostante l’immagine simbolica della corrente è certamente quella della madre trucidata dai mitra lungo la strada, sotto gli occhi del compagno e del figlioletto. Indimenticabile.
PAISA’, 1946 di Roberto Rossellini
Un anno dopo Roma città aperta, Rossellini realizza un potente e straordinario affresco epico e collettivo sullo sfondo dell’avanzata delle truppe degli Alleati angloamericani attraverso tutta l’Italia, dalla Sicilia al delta del Po, passando per Napoli, Roma, Firenze e un convento nell’Emilia. Paisà nasce idealmente come un ampliamento del punto di vista circoscritto a Roma del suo predecessore, abbracciando quindi l’intero paese. Perciò, lo straniero con il quale confrontarsi non sono più gli avversari nazifascisti, relegati qui sullo sfondo della guerra, bensì l’esercito “liberatore” americano, determinando il concetto portante del film: la rappresentazione di come lo straniero può diventare un “compaesano”, il paisà del titolo, attraverso la possibilità del dialogo e la complessa comprensione, sia linguistica sia ideologica, tra persone “diverse”.
Ognuno degli episodi mostra il fallimento, la sconfitta fisica e/o morale dei suoi protagonisti, nella speranza che parallelamente all’avanzamento degli Alleati la situazione possa cambiare. Nella fattispecie, l’ultimo tragico episodio mostra il raggiungimento della reale comprensione cercata durante tutta l’opera, nell’accettazione da parte degli americani di partecipere al destino italiano, in un messaggio di speranza verso il “dopo”, dove grazie a questo confluire di elementi diversi potrà nascere non soltanto un Italia nuova, ma un mondo nuovo. Questo è il messaggio utopico di Rossellini: diverse culture che si incontrano, per emergere.
Sotto il punto di vista narrativo è una grande novità internazionale la strutturazione del film in sei episodi distinti, ognuno dei quali introdotto da materiale documentaristico dedito alla contestualizzazione storica, collegato con le immagini della “finzione” in maniera fluida, come se il girato fosse una naturale continuazione del cinegiornale, eccezion fatta per l’ultimo episodio. La sua profondità espressiva e la sua autenticità tragica, unita ad una riflessione lucida e mai retorica sulla condizione presente e futura dell’Italia, lo erge, a mio parere, a capolavoro definitivo del Neorealismo, ben superiore a Roma città aperta, sotto ogni punto di vista. Il tempo, i mezzi, l’esperienza acquisita e la produzione statunitense hanno certamente giovato alla perfetta fattura del film, che fa nuovamente uso solamente di attori non professionisti, eccezion fatta per qualche sporadico cameo.
Ricordo infine la presenza di Fellini, sia come co-sceneggiatore sia come aiuto regista. E’ risaputo come alcune sequenze del quarto episodio, tra l’altro il migliore, siano state girate direttamente da lui, in assenza di Rossellini.
VIAGGIO IN ITALIA, 1954 di Roberto Rossellini
Una coppia di coniugi inglesi, interpretati da Ingrid Bergman e George Sanders, ritrova una speranza di comunicazione, comprensione reciproca e forse, il coraggio di amare, a contatto con l’ambiente del Sud Italia, durante un viaggio a Napoli. Dopo la trilogia sulla guerra, Rossellini concepisce un film molto più personale e intimista, abbandonando il lirismo epico e l’approccio documentaristico dei precedenti soggetti in favore di un racconto e di uno stile limpido, asciutto, completamente aderente alle cose e depurato da qualsiasi influenza drammaturgica. La sorprendente modernità di questo film non si evince solamente dalla narrazione e dallo stile registico, ma soprattutto nel contenuto drammatico e filosofico, mettendo in scena il profondo senso di alienazione e distanza proprio dell’uomo che tanto influenzò il cinema degli anni ’60 e, su tutti, quello di Antonioni. Se Paisà si può definire il suo film più grande, Viaggio in Italia è sicuramente quello più prezioso. Un film in cui lo spiccato modernismo ne avvolge la pacata bellezza, in un risultato finale straordinariamente edificante.
Tra l’altro, parallelamente a recensioni feroci da parte della critica italiana, che chiese addirittura a Rossellini di cambiare mestiere, in Francia venne tanto amato dai Cahiers du Cinema, che venne esaltato così: Con l'apparizione di Viaggio in Italia tutti i film sono improvvisamente invecchiati di dieci anni.La profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l’arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l’esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!". Il bello è celato a coloro che non cercano la verità.
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Dwight, fondamentalmente concordo con quello che hai scritto: obiettivamente Paisà è superiore a Roma, città aperta per i motivi che hai bene analizzato.
Eppure, già solo per questioni di importanza storica, di impatto sociale, di memoria collettiva (ed emotiva), oltre che per motivi di "affetto", non sono mai riuscito a non scegliere il secondo come film (da me) preferito del regista. E' un film simbolo di un movimento, di un periodo storico e di una generazione violentata e deturpata dalla violenza di una guerra assurda. E' il manifesto del neorealismo italiano e questo mi ha sempre portato ad avere un occhio particolare verso questo film. Ad esempio il personaggio della Magnani è l'emblema più potente e riuscito di quel periodo storico. Insomma è un film la cui portata ed il cui significato travalicano di gran lunga il suo effettivo valore.
Però, da un punto di vista critico ed asettico, gli preferisco altri film neorealisti, ad esempio Ladri di biciclette ed Umberto D. in cui all'aspetto di denuncia sociale ed al drammatico verismo, si accompagna un'elevata poesia che trasfigura il tutto verso vette sublimi, una sorta di triste canto celebrativo degli umili e degli oppressi. Ma, probabilmente, a dirla tutta, anche i film neorealisti di Visconti, più algidi, distanti e decadenti, hanno una marcia in più dal punto di vista artistico.
Eppure Roma, città aperta resta sempre lì: eterno, viscerale, indimenticabile come un monumento un po' logoro che non si può fare a meno di ammirare. :seseh:"E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
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Ieri ho cominciato a recuperare un po' di cinema di genere, che conosco davvero molto poco.
Suspiria di Dario Argento
Ho improvvisamente capito perché la gente, se è vero che i suoi ultimi film sono brutti, rimpianga così tanto di aver 'perduto' un simile talento. Suspiria non ha una trama particolarmente originale e la sceneggiatura presenta forse anche qualche forzatura, una certa prevedibilità di fondo e dei dialoghi non proprio impeccabili; inoltre il livello di recitazione generale non fa certo gridare al miracolo, anzi... Ma Argento è un genio nel sapere usare le scenografie e la fotografia: il più delle volte comunica l'orrore non riprendendolo, ma esplorando i luoghi in cui esso avviene, con una scelta di colori particolarissima che varia dal rosso all'arancione, passando per il giallo: quasi mai si rifugia in sequenze scure per aiutarsi a creare angoscia, e il colpo di genio di mostrare il luogo più pericoloso di tutti tra quelli attraversati dalla protagonista illuminato di una luce calda e accogliente ne è la prova. Inoltre si vede che il regista sa dove mettere la macchina, sa darsi ai giusti virtuosismi senza eccedere. Promosso a pieni voti.
La notte dei morti viventi di Romero
Il film è forse un po' invecchiato e viaggia su ritmi diversi rispetto a quelli odierni, cosa che soffre particolarmente, a mio parere, nella parte iniziale, quando sono presenti in scena solo l'uomo e la ragazza barricati in casa. Dopodiché tanto di cappello ad un film che crea una vera e propria mitologia: tutti quelli che ora sono topos sugli zombie vengono svelati ad uno ad uno, con un sapiente Romero che sa come mascherare ed usare a suo vantaggio le evidenti limitazioni nei mezzi con cui doveva avere a che fare. Quella che non è invecchiata è l'ironia e la ferocia di fondo nell'analizzare la tranquilla provincia americana, fattore che rende giustamente il film una pietra miliare compensando il fatto che, a mio parere, il film non riesce più a spaventare.
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Originariamente inviato da Socio Visualizza il messaggioSuspiria di Dario Argento
Ho improvvisamente capito perché la gente, se è vero che i suoi ultimi film sono brutti, rimpianga così tanto di aver 'perduto' un simile talento. Suspiria non ha una trama particolarmente originale e la sceneggiatura presenta forse anche qualche forzatura, una certa prevedibilità di fondo e dei dialoghi non proprio impeccabili; inoltre il livello di recitazione generale non fa certo gridare al miracolo, anzi... Ma Argento è un genio nel sapere usare le scenografie e la fotografia: il più delle volte comunica l'orrore non riprendendolo, ma esplorando i luoghi in cui esso avviene, con una scelta di colori particolarissima che varia dal rosso all'arancione, passando per il giallo: quasi mai si rifugia in sequenze scure per aiutarsi a creare angoscia, e il colpo di genio di mostrare il luogo più pericoloso di tutti tra quelli attraversati dalla protagonista illuminato di una luce calda e accogliente ne è la prova. Inoltre si vede che il regista sa dove mettere la macchina, sa darsi ai giusti virtuosismi senza eccedere. Promosso a pieni voti.
Ora, quello che sconcerta tutti i fans di Argento non è solo il fatto che i suoi film siano orribili da 20 anni a questa parte, ma, soprattutto, che questi abbia totalmente smarrito il suo stile, quello per cui è diventato famoso nel mondo. Io sono tra quelli che sostengono che ormai abbia già dato e farebbe meglio a ritirarsi, almeno per decenza :seseh:"E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
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