Essene, di F. Wiseman. 1972
L'opera si propone di riprendere la vita all'interno di un monastero, mostrando al tempo stesso, con una serie di primissimi piani, le differenze con il mondo esterno e le abitudini all'interno del luogo celato per antonomasia. La sua telecamera scava, come al solito, e crea un rapporto tensivo nonostante si limiti ad illustrare. Evidenzia il contrasto con la vita dell'uomo comune, amplificandone la portata della percezione. Sulle origini del titolo ho solo un'ipotesi, ovvero che sia un semplice e birbante divertissement atto a rievocare, per assonanza, la setta ebraica degli Esseni del II sec. a. C. (sul periodo però la memoria potrebbe farmi cilecca).
C'è una forte connessione tra quest'opera e Titicut Follies, il suo documentario d'esordio girato nel lontano '67, ambientato in un manicomio criminale, dove i pazienti mettono in scena un musical dal titolo omonimo. Monastero e manicomio, risultano entrambi luoghi di astrazione dalla realtà e dalla relativa impossibilità a tornarci.
Wiseman, un genio (e l'appellativo non è esagerato) del documentario, si "limita" a fare quel che ha sempre fatto: si immerge nel nucleo, nella substantia nigra di varie istituzioni americane per portare alla luce verità nascoste. Il suo occhio implacabile ed invisibile non ha mai fatto sconti a nessuno, dall'esercito agli ospedali, passando per le scuole e gli istituti di ricerca scientifica. Documentari che suggeriscono risposte, invece che forzarle, opere caratterizzate dall'aspetto (pre)dominante dell'inferenza, movimenti di macchina che risultano discreti all'occhio ma spiazzanti nella mente. Le sue opere formano un corpus organico dove spesso, il dettaglio, è significante magmatico e viscerale di irrazionalità, sofferenza, paradosso e smitizzazione. La sua produzione, lineare e semplice nella forma ma perigliosa e rovente nei contenuti, è matrice costante del rimpianto di un istituzionalizzato protoparadiso a stelle e strisce.
Un gigante assoluto Wiseman, uno dei più grandi documentaristi di sempre.
L'opera si propone di riprendere la vita all'interno di un monastero, mostrando al tempo stesso, con una serie di primissimi piani, le differenze con il mondo esterno e le abitudini all'interno del luogo celato per antonomasia. La sua telecamera scava, come al solito, e crea un rapporto tensivo nonostante si limiti ad illustrare. Evidenzia il contrasto con la vita dell'uomo comune, amplificandone la portata della percezione. Sulle origini del titolo ho solo un'ipotesi, ovvero che sia un semplice e birbante divertissement atto a rievocare, per assonanza, la setta ebraica degli Esseni del II sec. a. C. (sul periodo però la memoria potrebbe farmi cilecca).
C'è una forte connessione tra quest'opera e Titicut Follies, il suo documentario d'esordio girato nel lontano '67, ambientato in un manicomio criminale, dove i pazienti mettono in scena un musical dal titolo omonimo. Monastero e manicomio, risultano entrambi luoghi di astrazione dalla realtà e dalla relativa impossibilità a tornarci.
Wiseman, un genio (e l'appellativo non è esagerato) del documentario, si "limita" a fare quel che ha sempre fatto: si immerge nel nucleo, nella substantia nigra di varie istituzioni americane per portare alla luce verità nascoste. Il suo occhio implacabile ed invisibile non ha mai fatto sconti a nessuno, dall'esercito agli ospedali, passando per le scuole e gli istituti di ricerca scientifica. Documentari che suggeriscono risposte, invece che forzarle, opere caratterizzate dall'aspetto (pre)dominante dell'inferenza, movimenti di macchina che risultano discreti all'occhio ma spiazzanti nella mente. Le sue opere formano un corpus organico dove spesso, il dettaglio, è significante magmatico e viscerale di irrazionalità, sofferenza, paradosso e smitizzazione. La sua produzione, lineare e semplice nella forma ma perigliosa e rovente nei contenuti, è matrice costante del rimpianto di un istituzionalizzato protoparadiso a stelle e strisce.
Un gigante assoluto Wiseman, uno dei più grandi documentaristi di sempre.
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