Madre e figlio di Sokurov
Il recente premio a Venezia per questo regista russo ha destato in me l'interesse di recuperare i suoi film. Questo del 1997 è quindi il mio primo approccio con questa personalità. Ho avuto due fortune questa sera: di essere in serata giusta per un film del genere e di aver immaginato a priori (pur senza essermi informato troppo sul regista) che lo stile adottato potesse poi essere quello effettivamente presente sullo schermo. Vedere infatti un film così in una serata no rischia di compromettere il rapporto con i film dell'autore, e di mettere una pietra tombale su di esso.
Madre e figlio ha evidenti echi tarkovskijani. Fin da una delle primissime inquadrature la mente non può che balzare all'inizio Solaris o a Lo specchio: il modo in cui viene ripresa la natura e sopratutto con cui viene fotografata, rimandano quasi in automatico al maestro russo. La lunga dilatazione dei tempi poi, fa il resto. La trama è esile, quando si dice 'scriverla tutta in una riga e non tralasciare nulla': un figlio assiste una madre gravemente malata, tutto solo visto che abitano lontani da qualsivoglia paese.
Con un soggetto così striminzito, Sokurov si ingegna: ci mostra il rapporto tra i famigliari e ci suggerisce gli attriti e l'amore tra loro, mette in scena il legame tra l'uomo e la Natura e, conseguentemente, con la morte, inevitabile. Il regista si sofferma a lungo su bellissimi paesaggi, analizzandoli usando i mezzi fotografici più disparati, deformando più volte l'immagine e aiutato da una fotografia che più volte sembra dipingere un quadro autunnale.
E' quindi un film molto bello, anche se forse un po' troppo rigido nel seguire lo stile che sceglie: i dialoghi (rari, peraltro) sono asciutti e molto è lasciato allo spettatore. E' un cinema del non-detto, che richiede una costante attenzione allo spettatore (anche per questo, forse, Sokurov gli viene incontro con una durata ridotta) e un certo sforzo anche per leggere "tra le righe" delle varie inquadrature. Non nego che forse avrei preferito un po' di sostanza in più, una presenza più preponderante del regista anche per quanto riguarda le tematiche, per le quali avrei preferito maggiormente conoscere il suo punto di vista, tuttavia rimane cinema d'alto livello. Come primo approccio non c'è davvero male, col tempo (tanto il Faust credo che prima del 2012 non lo vedremo) recupererò i suoi film dal '97 in avanti.
Il recente premio a Venezia per questo regista russo ha destato in me l'interesse di recuperare i suoi film. Questo del 1997 è quindi il mio primo approccio con questa personalità. Ho avuto due fortune questa sera: di essere in serata giusta per un film del genere e di aver immaginato a priori (pur senza essermi informato troppo sul regista) che lo stile adottato potesse poi essere quello effettivamente presente sullo schermo. Vedere infatti un film così in una serata no rischia di compromettere il rapporto con i film dell'autore, e di mettere una pietra tombale su di esso.
Madre e figlio ha evidenti echi tarkovskijani. Fin da una delle primissime inquadrature la mente non può che balzare all'inizio Solaris o a Lo specchio: il modo in cui viene ripresa la natura e sopratutto con cui viene fotografata, rimandano quasi in automatico al maestro russo. La lunga dilatazione dei tempi poi, fa il resto. La trama è esile, quando si dice 'scriverla tutta in una riga e non tralasciare nulla': un figlio assiste una madre gravemente malata, tutto solo visto che abitano lontani da qualsivoglia paese.
Con un soggetto così striminzito, Sokurov si ingegna: ci mostra il rapporto tra i famigliari e ci suggerisce gli attriti e l'amore tra loro, mette in scena il legame tra l'uomo e la Natura e, conseguentemente, con la morte, inevitabile. Il regista si sofferma a lungo su bellissimi paesaggi, analizzandoli usando i mezzi fotografici più disparati, deformando più volte l'immagine e aiutato da una fotografia che più volte sembra dipingere un quadro autunnale.
E' quindi un film molto bello, anche se forse un po' troppo rigido nel seguire lo stile che sceglie: i dialoghi (rari, peraltro) sono asciutti e molto è lasciato allo spettatore. E' un cinema del non-detto, che richiede una costante attenzione allo spettatore (anche per questo, forse, Sokurov gli viene incontro con una durata ridotta) e un certo sforzo anche per leggere "tra le righe" delle varie inquadrature. Non nego che forse avrei preferito un po' di sostanza in più, una presenza più preponderante del regista anche per quanto riguarda le tematiche, per le quali avrei preferito maggiormente conoscere il suo punto di vista, tuttavia rimane cinema d'alto livello. Come primo approccio non c'è davvero male, col tempo (tanto il Faust credo che prima del 2012 non lo vedremo) recupererò i suoi film dal '97 in avanti.
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