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  • ci provo anch'io ma non è che farò chissà che analisi

    La leggenda di Beowulf di Robert Zemeckis

    Strano film dalla doppia faccia. E' piena fase centrale del periodo performance capture di Zemeckis. Parlavo prima di doppia faccia di questa pellicola, una è positiva l'altra negativa. La nota positiva è l'intera vicenda che riesce ad intrattenere lo spettatore come si deve e alla fine abbiamo molti sotto testi, i trailer sono stati assai fuorvianti in merito in quanto pareva un film caciarone e basta, ma qualcosa di più riesce a darlo. Ora però preponderantemente entra in gioco l'aspetto negativo, ovvero la realizzazione visiva, i personaggi sono quasi tutti uno più finto dell'altro, la plasticosità e l'evidente artifizio del tutto è fastidiosissimo alla vista, non pensavo una cosa del genere, non c'è quasi nessun personaggio che trasmette veramente i sentimenti che dovrebbe manifestare, solo Hopkins e lo stesso Winston in alcuni frangenti, e pensando che dopo Polar Express ci fosse un miglioramento sull'aspetto visivo c'è da ricredersi in quanto riesce ad essere peggiore. Avrei voluto vedere la stessa identica storia violenta e drammatica nelle mani della Weta che con il più recente Tin tin si è mangiata tutti e 3 i Zemeckis in mocap in quanto a realismo messo in scena. Peccato veramente perchè non trovo la storia banale e il finale (cioè proprio gli ultimi istanti) è davvero poco rassicurante.

    Quindi facendo un sunto numerico tra i pro e i contro direi che un 5,5 gliedo do proprio per il lavoro fatto in sede di sceneggiattura, ma nient'altro...

    edit: nonostante la pessima grafica e il fatto che invece di andare avanti la grafica è peggiorata a me la trama è piaciuta ugualmente...

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    • E' l'inizio del periodo performance capture di Zemeckis che ha voluto sperimentare.
      In reatà c'era già stato The Polar Express, no?

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      • Originariamente inviato da sauron82 Visualizza il messaggio
        ci provo anch'io ma non è che farò chissà che analisi

        La leggenda di Beowulf di Robert Zemeckis

        Strano film dalla doppia faccia. E' l'inizio del periodo performance capture di Zemeckis che ha voluto sperimentare. Parlavo prima di doppia faccia di questa pellicola, una è positiva l'altra negativa. La nota positiva è l'intera vicenda che riesce ad intrattenere lo spettatore come si deve e alla fine abbiamo molti sotto testi, i trailer sono stati assai fuorvianti in merito in quanto pareva un film caciarone e basta, ma qualcosa di più riesce a darlo. Ora però preponderantemente entra in gioco l'aspetto negativo, ovvero la realizzazione visiva, cioè ok che è il primo film fanto con questa tecnica e quindi Zemeckis ha dovuto prendere la mano ma i personaggi sono quasi tutti uno più finto dell'altro, la plasticosità e l'evidente artifizio del tutto è fastidiosissimo alla vista, non pensavo una cosa del genere, non c'è quasi nessun personaggio che trasmette veramente i sentimenti che dovrebbe manifestare, solo Hopkins e lo stesso Winston in alcuni frangenti, avrei voluto vedere la stessa identica storia violenta e drammatica nelle mani della Weta che con il più recente Tin tin si è mangiata tutti e 3 i Zemeckis in mocap in quanto a realismo messo in scena. Peccato veramente perchè non trovo la storia banale e il finale (cioè proprio gli ultimi istanti) è davvero poco rassicurante.

        Quindi facendo un sunto numerico tra i pro e i contro direi che un 5,5 gliedo do proprio per il lavoro fatto in sede di sceneggiattura, ma nient'altro...
        Quoticchio, ma abbasso ancora il voto: 5
        Il film è di una noia mortale, e anche se fosse stato fatto con 4 pupazzi animati con la mano non sarebbe cambiato di una virgola. Per me è la narrazione che è noiosa, ancor prima del quantomai orrido performance capture.

        Originariamente inviato da Marv Visualizza il messaggio
        In reatà c'era già stato The Polar Express, no?
        Eh già. E devo dire, era meglio di Beowulf...


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        • hai ragione, modifico, e anzi è un aspetto che va a peggiorare il giudizio, mi pareva il contrario

          In quanto a ciò che ha scritto Kadath, probabilmente a me è piaciuto come trama perchè vidi una proposizione della stessa storia in un filmaccio con Cristopher Lambert che dire che fa pena è poco e quindi questo almeno mi ha reso la vicenda di un certo interesse.

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          • Mercoledì 21 Marzo
            Stalker - Andrej Tarkovskij, 1979

            Il momento di pausa lavorativa e di rilassamento dagli impegni in generale, ha favorito un raptus di onanismo intellettuale cinematografico, in conseguenza del quale il sottoscritto ha visto questo classico.
            Ora, fermo restando che i miei preferiti di del buon Tarkovskij restano Andrej Rublëv e Lo Specchio, spezzo comunque una lancia a favore di quest'opera perché, se è vero che l'oggettivo sovraccarico intellettuale del film sfiora il collasso, è vero anche che tale sovraccarico non deve e non può offuscare e sottacere l'importanza di quest'opera sul piano dell'ampiezza dell'enunciato.

            Nel prologo del film vediamo un uomo in un bar (che lo stalker chiamerà "professore") che prende un caffè, seduto ad un tavolino nell'attesa degli altri due compagni di viaggio: lo stalker (in questo caso l'accezione è "guida") ed un intellettuale (che lo stalker definirà invece "scrittore"). I tre stanno per affrontare il viaggio che li condurrà nella Zona, un'area extraurbana rurale ed acquitrinosa dove si trova la Stanza Dei Desideri.
            Circoscrivendo l'opinione sul film, di cui ci sarebbe da parlare per ore, si potrebbe sintetizzare che, i tre uomini, lo stalker il professore e lo scrittore, rappresentano ovviamente tre poli fondamentali della cultura: la guida spirituale - la scienza - il lirismo, dove gli ultimi due campi portano avanti per tutto il film una dialettica di contrasto molto in voga nell'Unione sovietica di quel tempo, ovver la dialettica fisica - romanticismo.
            Solo che, mentre lo stalker (la guida) è intimamente connesso alla Zona, gli altri due paiono non solo completamente estranei rispetto a quel territorio misterioso, ma anche cattivi rappresentanti dell'essere umano che non guarda oltre i propri limiti, in quanto unicamente in grado di trincerarsi, ognuno dei due, dietro il proprio fiero narcisismo.
            Gli spunti da prendere dal film sarebbero sterminati, sia per quanto riguarda un'analisi sociologico-politica dell'allora Madre Russia, sia per quanto riguarda un'analisi squisitamente videosofica dell'opera. Spunti che Tarkovskij dissemina praticamente ovunque, a partire dal prologo nel bar, luogo di partenza che non casualmente fa anche da luogo di fine viaggio, dove i tre, all'inizio, danno vita ad una disposizione che per me è tra le più rappresentative di tutto il film, pur se nulla sembra dire in apparenza. I tre, seduti uno accanto all'altro a quel tavolino, mi catapultano immediatamente al quadro della Trinità di Rublev, impressione che potrebbe valere semplicemente come coincidenza, se non fosse che è di Tarkovskij che sto parlando. Questo potrebbe essere un punto di partenza dell'opera, non certo un tassello significativo dal punto di vista narrativo, ma sicuramente una partenza sul piano iconico, dove "iconico" sta per "capacità tecnica di riprodurre il sacro", in questo caso vale a dire "iconografia cinematografica". D'altra parte, non è certo un mistero che Stalker segua una precisa ritualità cristologica abbracciata ad afflati di filosofia orientale (si pensi alla sequenza nella Zona dei cerchi nell'acqua).
            E partendo da questa iconografia, si potrebbero iniziare a costruire le pareti dell'enunciato di un'opera che solo in apparenza può sembrare un ridontante gioco intellettualoide del buon Andrej.
            Il riferimento iconico al quadro di Rublev, ammesso e concesso che di riferimento si tratti e che non sia una mia reductio ad cazzum asd, potrebbe rappresentare l'annuncio di quel che sarà la dimensione spirituale dell'esplorazione della Zona, dimensione secondo me ulteriormente accentuata da un amessa in quadro molto più esplicativa di quanto la sua semplice costruzione non descriva, dove i movimenti della macchina da presa, all'inizio, a casa dello Stalker, tagliano lo spazio formando una croce, sia grazie al carrellata in avanzamento che passa attraverso le fessure della porta formando di fatto un spazio verticale, che al successivo movimento orizzontale degli oggetti su un tavolo.
            Così come un'altra parete dell'enunciato è indubbiamente il doppio livello sonoro, il primo è quello meccanico del passaggio del treno sulle rotaie, il secondo quello che simboleggia la Zona, il primo ripetitivo, inespressivo e noioso come la vita al di fuori del territorio enigmatico in questione (ovvero la quotidianità), il secondo misterioso, fuori dal tempo, indecidibile eppure presente come la Zona stessa. Passando ancora oltre c'è l'uso dei colori, che rivela, in attenta evoluzione, il passaggio dall'ordinario allo straordinario, dove il b/n lascia spazio al colore (seppur ancora timido) al raggiungimento della meta, per poi ritornare alla fine del film, ma lasciando spazio nuovamente al colore nell'ultima sequenza. L'aspetto cromatico è di particolare rilevanza, poiché accentua quella che per me è la natura fenomenologica oltre che spirituale della Zona. La Natura si mostra per quel che è, ovvero semplicemente ordinaria, eppure straordinaria al contempo, ma per cogliere tale straordinaria verità, bisogna intendere e sentire la Natura come miracolo, e Tarkovskij aiuta a veicolare tale messaggio con il semplice espediente del colore circrcosrcritto alla macrosequenza in questione.
            La menzione di questi semplici aspetti, potrebbe favorire ulteriormente la comprensione di ciò che rappresenta l'esplorazione di quest'area o, meglio ancora, il fissaggio di alcuni passaggi fondamentali dove vengono fatte citazioni apparentemente disconnesse o incomprensibili, come ad esempio la poesi di Lao Tze recitata dallo stalker a mo' di preghiera, che rappresenta un turning point narrativo di assoluto valore, in quanto rappresentante la sua natura da prigioniero del mondo. Tre prigionieri in realtà, ché gli altri due non si mostrano da meno. Tre uomini che passano attaverso quella che sembra a tutti gli effetti una ritualità religiosa in generale, più che cristologica nello specifico perché, Tarkosvskij, all'approssimarsi dei tre alla Stanza, ci mostra degli atti tipici della tematica esplicita dell'opera come il battesimo e la confessione. Anche se sembra una ritualità volta più alla deriva del nichilismo, che verso la Luce, o forse è proprio questa la luce di cui ci parla il regista? La comprensione del fatto che il dominio della Legge degli Uomini manca di quell'abbandono totale che necessita la comprensione più vicina alla Luce?
            Il film si chiude chiude, come prima accennavo, con una sequenza a colori, dove la piccola Martyska, la figlia malata dello stalker, sposta in casa dei bicchieri con il solo sguardo. In questa sequenza ci sono tutti i conflitti interiori dello stalker. Il primo bicchiere cade dal tavolo, il secondo in cui è versato del vino viene spostato appena fuori l'inquadratura, mentre nel terzo c'è un tuorlo rotto ed una piuma. Se a tutta questa simbologia racchiusa in pochi attimi, aggiungiamo il colore, capiamo come la suddetta Zona, per Tarkovskij, rappresenti semplicemente la realtà tutta, che necessita di essere guardata con gli occhi del miracolo, per coglierne la verità, o per dirla con le parole dello stalker mentre recita una poesia: " che diventino indifesi come i bambini, perché la debolezza è grande e la forza è niente".


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            • Mercoledì 21 Marzo
              Stalker - Andrej Tarkovskij, 1979

              Il momento di pausa lavorativa e di rilassamento dagli impegni in generale, ha favorito un raptus di onanismo intellettuale cinematografico, in conseguenza del quale il sottoscritto ha visto questo classico, e sul quale stavolta voleva soffermarsi un attimo.
              Ora, fermo restando che i miei preferiti di del buon Tarkovskij restano Andrej Rublëv e Lo Specchio, spezzo comunque una lancia a favore di quest'opera perché, se è vero che l'oggettivo sovraccarico intellettuale del film sfiora il collasso, è vero anche che tale sovraccarico non deve e non può offuscare e sottacere l'importanza di quest'opera sul piano dell'ampiezza dell'enunciato.

              Nel prologo del film vediamo un uomo in un bar (che lo stalker chiamerà "professore") che prende un caffè, seduto ad un tavolino nell'attesa degli altri due compagni di viaggio: lo stalker (in questo caso l'accezione è "guida") ed un intellettuale (che lo stalker definirà invece "scrittore"). I tre stanno per affrontare il viaggio che li condurrà nella Zona, un'area extraurbana rurale ed acquitrinosa dove si trova la Stanza Dei Desideri.
              Circoscrivendo l'opinione sul film, di cui ci sarebbe da parlare per ore, si potrebbe sintetizzare che, i tre uomini, lo stalker il professore e lo scrittore, rappresentano ovviamente tre poli fondamentali della cultura: la guida spirituale - la scienza - il lirismo, dove gli ultimi due campi portano avanti per tutto il film una dialettica di contrasto molto in voga nell'Unione sovietica di quel tempo, ovver la dialettica fisica - romanticismo.
              Solo che, mentre lo stalker (la guida) è intimamente connesso alla Zona, gli altri due paiono non solo completamente estranei rispetto a quel territorio misterioso, ma anche cattivi rappresentanti dell'essere umano che non guarda oltre i propri limiti, in quanto unicamente in grado di trincerarsi, ognuno dei due, dietro il proprio fiero narcisismo.
              Gli spunti da prendere dal film sarebbero sterminati, sia per quanto riguarda un'analisi sociologico-politica dell'allora Madre Russia, sia per quanto riguarda un'analisi squisitamente videosofica dell'opera. Spunti che Tarkovskij dissemina praticamente ovunque, a partire dal prologo nel bar, luogo di partenza che non casualmente fa anche da luogo di fine viaggio, dove i tre, all'inizio, danno vita ad una disposizione che per me è tra le più rappresentative di tutto il film, pur se nulla sembra dire in apparenza. I tre, seduti uno accanto all'altro a quel tavolino, mi catapultano immediatamente al quadro della Trinità di Rublev, impressione che potrebbe valere semplicemente come coincidenza, se non fosse che è di Tarkovskij che sto parlando. Questo potrebbe essere un punto di partenza dell'opera, non certo un tassello significativo dal punto di vista narrativo, ma sicuramente una partenza sul piano iconico, dove "iconico" sta per "capacità tecnica di riprodurre il sacro", in questo caso vale a dire "iconografia cinematografica". D'altra parte, non è certo un mistero che Stalker segua una precisa ritualità cristologica abbracciata ad afflati di filosofia orientale (si pensi alla sequenza nella Zona dei cerchi nell'acqua).
              E partendo da questa iconografia, si potrebbero iniziare a costruire le pareti dell'enunciato di un'opera che solo in apparenza può sembrare un ridontante gioco intellettualoide del buon Andrej.
              Il riferimento iconico al quadro di Rublev, ammesso e concesso che di riferimento si tratti e che non sia una mia reductio ad cazzum asd, potrebbe rappresentare l'annuncio di quel che sarà la dimensione spirituale dell'esplorazione della Zona, dimensione secondo me ulteriormente accentuata da una messa in quadro molto più esplicativa di quanto la sua semplice costruzione non descriva, dove i movimenti della macchina da presa, all'inizio, a casa dello Stalker, tagliano lo spazio formando una croce, sia grazie al carrellata in avanzamento che passa attraverso le fessure della porta delimitando di fatto un spazio verticale, che al successivo movimento orizzontale degli oggetti su un tavolo.
              Così come un'altra parete dell'enunciato è indubbiamente il doppio livello sonoro, il primo è quello meccanico del passaggio del treno sulle rotaie, il secondo quello che simboleggia la Zona, il primo ripetitivo, inespressivo e noioso come la vita al di fuori del territorio enigmatico in questione (ovvero la quotidianità), il secondo misterioso, fuori dal tempo, indecidibile eppure presente come la Zona stessa. Passando ancora oltre c'è l'uso dei colori, che rivela, in attenta evoluzione, il passaggio dall'ordinario allo straordinario, dove il b/n lascia spazio al colore (seppur ancora timido) al raggiungimento della meta, per poi ritornare alla fine del film, ma lasciando spazio nuovamente al colore nell'ultima sequenza. L'aspetto cromatico è di particolare rilevanza, poiché accentua quella che per me è la natura fenomenologica oltre che spirituale della Zona. La Natura si mostra per quel che è, ovvero semplicemente ordinaria, eppure straordinaria al contempo, ma per cogliere tale straordinaria verità, bisogna intendere e sentire la Natura come miracolo, e Tarkovskij aiuta a veicolare tale messaggio con il semplice espediente del colore circrcosrcritto alla macrosequenza in questione.
              La menzione di questi semplici aspetti, potrebbe favorire ulteriormente la comprensione di ciò che rappresenta l'esplorazione di quest'area o, meglio ancora, il fissaggio di alcuni passaggi fondamentali dove vengono fatte citazioni apparentemente disconnesse o incomprensibili, come ad esempio la poesia di Lao Tze recitata dallo stalker a mo' di preghiera, che rappresenta un turning point narrativo di assoluto valore, in quanto rappresentante la sua natura da adulto e prigioniero del mondo. Tre prigionieri in realtà, ché gli altri due non si mostrano da meno. Tre uomini che passano attaverso quella che sembra a tutti gli effetti una ritualità religiosa in generale, più che cristologica nello specifico perché, Tarkosvskij, all'approssimarsi dei tre alla Stanza, ci mostra degli atti tipici della tematica esplicita dell'opera come il battesimo e la confessione. Anche se sembra una ritualità volta più alla deriva del nichilismo, che verso la Luce, o forse è proprio questa la luce di cui ci parla il regista? La comprensione del fatto che il dominio della Legge degli Uomini manca di quell'abbandono totale che necessita la comprensione più vicina alla Luce?
              Il film si chiude, come prima accennavo, con una sequenza a colori, dove la piccola Martyska, la figlia malata dello stalker, sposta in casa dei bicchieri con il solo sguardo. In questa sequenza ci sono tutti i conflitti interiori dello stalker. Il primo bicchiere cade dal tavolo, il secondo in cui è versato del vino (il richiamo al Sacro) viene spostato appena fuori l'inquadratura, mentre nel terzo c'è un tuorlo rotto ed una piuma. Se a tutta questa simbologia racchiusa in pochi attimi, aggiungiamo il colore, capiamo come la suddetta Zona, per Tarkovskij, rappresenti semplicemente la realtà tutta, che necessita di essere guardata con gli occhi del miracolo, per coglierne la verità, o per dirla con le parole dello stalker mentre recita una poesia: " che diventino indifesi come i bambini, perché la debolezza è grande e la forza è niente".


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              • Originariamente inviato da sauron82
                hai ragione, modifico, e anzi è un aspetto che va a peggiorare il giudizio, mi pareva il contrario

                In quanto a ciò che ha scritto Kadath, probabilmente a me è piaciuto come trama perchè vidi una proposizione della stessa storia in un filmaccio con Cristopher Lambert che dire che fa pena è poco e quindi questo almeno mi ha reso la vicenda di un certo interesse.
                Ammetto di aver visto anche quel film, o barzelletta, che dir si voglia.
                La frase più importante di quel film era "combatti bene, o muori male". Roba profonda, insomma...


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                • Originariamente inviato da sauron82 Visualizza il messaggio
                  ci provo anch'io ma non è che farò chissà che analisi

                  La leggenda di Beowulf di Robert Zemeckis
                  Non l'ho visto, ma il successivo A Christman Carol è molto riuscito ed in grando anche di emozionare, secondo me.

                  Fratelli per la pelle
                  Ogni tanto i Farrelly brothers oltre alle commedie demenziali dimostrano di saper scrivere qualcosa di meno banale del solito.
                  Sicuramente il loro film migliore insieme ad "Amore a prima svista".

                  Letterboxd

                  Hemingway una volta ha scritto: "Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso." Condivido la seconda parte.

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                  • beh, no, aspetta... sono discontinui, certo (sono andati calando di film in film, praticamente), ma per me Scemo e più scemo resta un vero e proprio capolavoro, nel suo genere, e Tutti pazzi per Mary e Io, Me & Irene sono davvero ottimi.
                    fedele seguace del team Apatow

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                    • Originariamente inviato da kadath
                      Quoticchio, ma abbasso ancora il voto: 5
                      Il film è di una noia mortale, e anche se fosse stato fatto con 4 pupazzi animati con la mano non sarebbe cambiato di una virgola. Per me è la narrazione che è noiosa, ancor prima del quantomai orrido performance capture.
                      e dire che la sceneggiatura era firmata da Neil Gaiman e Roger Avary...
                      Sono una persona semplice, guardo film e non rompo il cazzo.

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                      • Originariamente inviato da Slask Visualizza il messaggio
                        e dire che la sceneggiatura era firmata da Neil Gaiman e Roger Avary...
                        Beh, chiunque può fare un passo falso. Ma di certo a peggiorare le cose è tutto il fintume in CGI...


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                        • ma la storia di beowulf è sostanzialmente quella e rispecchia abbastanza bene il poema originale,il campo di variazione no era molto ampio...certo sulla realizzazione invece ce ne sarebbe da dire...un film così in live action sarebbe stato infinitamente meglio,anche se la scena "nascondi come puoi la fava di beowulf" sarebbe stata ancora più ridicola...asd

                          "Il cinema è un arte soggettiva, quanto la musica, belli i 5 alti bello sentire pareri discordanti ai propri, ma alla fine sono io, uno schermo e tutto quello che ci passa di mezzo."

                          "Le barbarie sono lo stato naturale dell'umanità, la civiltà è solo un capriccio dell'evoluzione e delle circostanze". cit.


                          ~FREE BIRD~

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                          • Originariamente inviato da Silente Visualizza il messaggio
                            beh, no, aspetta... sono discontinui, certo (sono andati calando di film in film, praticamente), ma per me Scemo e più scemo resta un vero e proprio capolavoro, nel suo genere, e Tutti pazzi per Mary e Io, Me & Irene sono davvero ottimi.
                            Capolavoro anche se nel suo genere mi sembra un pò troppo, diciamo che fa il suo dovere
                            Sono d'accordo, gli ultimi due li metto subito dopo Amore a prima svista e Fratelli per la pelle, specialmente Io, Me & Irene.

                            Letterboxd

                            Hemingway una volta ha scritto: "Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso." Condivido la seconda parte.

                            Commenta


                            • ho una mia personale teoria sul perchè visivamente sia così brutto, questo era il primo film in mocap in 3d (questo si) e quindi molti sforzi sono andati per realizzare questa novità. Me lo suggerisce il fatto che il sucessivo A christmas carol è addirittura migliore di polar express dal pdv visivo e anche il 3d è molto buono

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                              • non ho ancora visto A Christmas Carol, ma finora me ne sono tenuto alla larga perchè temo una bambinata che non aggiunge niente ad una storia trita e ritrita. Qualcuno può convincermi del contrario?
                                Sono una persona semplice, guardo film e non rompo il cazzo.

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