Ho visto due minuti random e mi è sembrato un episodio di Piccoli Brividi. Per carità xD
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Nel frattempo io ho visto
Musarañas (Shrew's nest)
Film che si diverte a fornire indizi e autospoilerarsi per poi tornare a celarsi e mischiare le carte per sorprendere in nuove forme.
Parte come un lento dramma familiare in cui la regia pone molta importanza sulle dissolvenze e sulle inquadrature delle porte che si chiudono. Scopriremo poi perché.
E' un film molto classico, almeno per quanto riguarda la tradizione del cinema spagnolo, nel descrivere una religione onnipresente e opprimente insieme agli effetti sugli individui, riuscendo invece a essere abbastanza originale nel dipingerne l'aspetto orrorifico.
La narrazione, soprattutto per l'intervento di elementi esterni e con la spinta di rivelazioni che avvengono tramite flashback, si sposta sempre più verso l'horror e infine si arriva anche ad esagerare con lo splatter, ma la rappresentazione delle scene più sanguinolente riesce comunque a essere divertente e vivace.
Il male presente nel film è giustificato, o perlomeno motivato, dalla presenza di un Male più grosso, liberarsene sarà difficile e oltre agli ostacoli fisici i personaggi dovranno superare anche paura e sensi di colpa.
Il finale, come accennavo, passa dall'essere rivelato anticipatamente all'essere nascosto in modo ingannevole, tuttavia colpisce poi per la sua efficacia e per la sua capacità di coniugare amore e sadismo.
I difetti possono essere l'eccessiva ispirazione ad altri film per alcuni aspetti della trama, così come l'escalation finale che a qualcuno potrebbe parere esagerata, inoltre l'eccessiva luminosità della fotografia a tratti rende il film quasi un prodotto televisivo; rimane comunque un'altra conferma che in Spagna ci sanno fare con il cinema di genere.
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Originariamente inviato da UomoCheRide Visualizza il messaggioVisto i rec u.
Consigliato.
Piacevole sorpresa.
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Originariamente inviato da Mr.Carrey Visualizza il messaggioTra l'altro noto adesso che hanno tratto un film, interesssssante...
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Più che gli ultimi film che ho visto... i film che vorrei rivedere... magari in Bluray:musino:
Chicche cult, guilty pleasures e capolavori dimenticati direttamente dai famigerati anni '80...
Runaway (1984) di Michael Crichton
L'alieno (1987) di Jack Sholder
Society (1988) di Brian Youzna
Q - Il serpente alato (1982) di Larry Cohen
Il drago del lago di fuoco (1981) di Matthew Robbins
il mio nome è Remo Williams (1985) di Guy Hamilton
Chi più spende più guadagna (1985) di Walter Hill
Fandango (1985) di Kevin Reynolds
The Abyss (1989) di James Cameron
Mi chiedo... non c'è un topic apposito per discutere e ricordare le chicche di un tempo che si fanno attendere sui nostri supporti preferiti?
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Originariamente inviato da Sir Dan Fortesque Visualizza il messaggioPs: però Miike l'ho visto dal vivo :musino:
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Originariamente inviato da Sensei Visualizza il messaggioDoppi fini...non sono solito usare certi meccanismi infimi.
Comunque il titolo è ben saldo nelle sue mani, "Avengers 2 > American Sniper" resterà a memoria imperitura.
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Visto:
Generazioni vuote e dal futuro incerto vengono tratteggiate in una signorile e fulgida New York in bianco e nero. Frances è la sognatrice di questi giovani, senza una casa, senza un lavoro, senza una relazione stabile, aggrappata ai propri sogni e desideri, ma non per questo disillusa, mai lo sarà.
Baumbach con questo bianco e nero atemporale, questo personaggio femminile e l'ambientazione Newyorkese ha dei precisi rifermenti "Alleniani", ma affonda ancor di più i piedi nello spirito della Nouvelle Vague. Pregno di omaggi e citazioni ma non per questo privo di una propria identità, Baumbach sa come bilanciare meticolosamente la sua architettura, le citazioni sembrano quasi una conseguenza inconsapevole del suo lavoro finito.
Protagonista del quadro abbiamo una frizzante Greta Gerwig (anche co-sceneggiatrice), mattatrice e centro propulsore della narrazione; il ritmo è scandito dalla sua dinamicità, plasmato sulla sua fisicità buffa e frenetica. Frances corre, cade e compie continue giravolte in una società impostata, artificiosa, fatta di persone che mostrano una parvenza di felicità all'esterno ma che in realtà celano sotto l'armatura una spontaneità e naturalezza soffocata dai paradigmi della società moderna.
In una normalità anormale, quella scheggia impazzita di Frances pare l'unica veramente coerente con ciò che è, con ciò che vuole, sebbene non lo abbia e forse non lo avrà mai. In un mondo ipocrita e fermamente regolato l'alcol è l'unico mezzo di decodifica: i personaggi secondari perdono difese e sovrastrutture col bere e solo così rivelano le loro tremanti nudità, quelle che Frances ostenta sempre, e che, allo sguardo altrui, la rendono stramba. Ma forse dietro quella apparente immaturità si nasconde una persona che ha scoperto il segreto del vivere la sua esistenza felicemente, una persona che la vita la prende di petto e la respira a pieni polmoni nonostante non abbia le carte per raggiungere i propri sogni e i mezzi per darle una svolta.
Frances Ha è un gioiellino dalla confezione nostalgica di un cinema che fu ma che nel contempo rimane ancorato alla contemporaneità, una commedia fresca dai toni malinconici, che sa come essere spensierata ma che allo stesso momento sa muovere una sottile critica al grigiore della società odierna.
Inoltre ha dalla sua uno dei personaggi femminili più belli della storia del cinema. L'inquadratura finale sul volto di Greta Gerwig che sembra guardare in camera ha del commovente.
Voto: 8
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Su Miike sono un ignorantone. Ne ho visti solo 3: The Call, Audition e Ichi the killer. Rispettivamente visti una volta sola.
Il primo lo ricordo a malapena (facevo le medie all’epoca, quindi un secolo fa), degli altri due rammento una violenza poetica, allusiva.. mi colpì molto la frase “non c’è amore nei tuoi pugni”, perché credo che racchiuda la poetica del suo autore.
Inoltre questa sequenza mi segnò parecchio
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Qualche pensiero critico su La grande guerra (Monicelli) e Uomini contro (Rosi)
Il primo conflitto mondiale è stato poco rappresentato nel Cinema italiano se non come diffusore di una retorica militare eroica e patriottica. Anche nel secondo dopoguerra, grazie alla Legge Andreotti del 1949, non si poteva fare a meno di censurare tutti quegli elementi che potevano in qualche modo svilire, oltre alla burocrazia, l’ideale patriottico e l’immagine dell’esercito italiano. Si pensi a film come Il caimano del Piave (1950) dove il conflitto italiano del ’15-’18 diventa metafora dei conflitti del tempo (in particolar modo risente del clima di Guerra Fredda e della questione triestina).
Il primo tentativo di rompere la tradizione avviene nel 1959 con l’uscita del capolavoro di Mario Monicelli La grande guerra. Prodotto da Dino De Laurentiis, il film è una tragicommedia dove il primo conflitto bellico mondiale è raccontato attraverso le peripezie di due soldati, un milanese e un romano interpretati rispettivamente da Vittorio Gassman e Alberto Sordi, che per tutta la durata del film tentano di fuggire ai loro doveri di soldato. Si tratta, per la prima volta, di antieroi codardi che non vogliono morire per la patria. Il film non ebbe una produzione facile. La sceneggiatura dovette passare ben quattro volte all’autorità di precensura prima di venire approvata e, durante le riprese, la popolazione locale si dimostrò ostile alla troupe: la Prima Guerra Mondiale era ancora una questione delicata soprattutto se rappresentata in quella maniera dissacrante e altresì realistica. Fu il primo film italiano dove si presentavano uccisioni di massa, dove i caduti sono soldati anonimi e non eroi, dove la guerra è vista come un massacro più che come una lotta di libertà. Non è l’unica novità presente all’interno del film: i soldati parlano il loro dialetto e l’italiano è qualità dei soli generali; sono mostrati i rapporti tra i soldati e i loro superiori; sono presenti canti popolari che fungono anche da titoli di capitoli che suddividono le vicende. Il film vinse il Leone d’Oro ex aequo con Il generale della rovere (1959) alla XX Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia.
Il libro di Emilio Lussu Un anno sull'altipiano ispirò, invece, in maniera ufficiale, il settimo film di Francesco Rosi, Uomini contro (1970) che porta a compimento ed estremizza la componente drammatica e tragica del film di Monicelli. Il film di Rosi è, al contrario, una forte denuncia verso le istituzioni militari. Alberto Moravia scrisse:
A ben guardare, è un film educativo, didattico. Dice cose che non leggeremo mai nei nostri libri di storia per le scuole e anche più su. La realtà orrenda della guerra non vi è “verniciata” come nei film di consumo[…]. Con onestà e serietà Rosi vuole che il suo film contribuisca ad una presa di coscienza della storia nazionale.
Il film si mostra fin dalle prime sequenze come più tragico e cupo del film di Monicelli. La scenografia naturale di rocce e nebbia, senza mai una giornata di sole, rappresenta lo spaesamento e l’esistenza grigia dei soldati in trincea. Non esistono eroi, ma solo uomini in balia della morte che spesso avviene da parte dei compagni d’armi e sotto ordine dei generali (addirittura in una scena gli austriaci si rifiutano di sparare ai soldati italiani per compassione). Non c’è spazio per le risate e non è presente il lieto fine laddove nel film di MonicelliSpoiler! Mostrasi assisteva ad una vittoria e ad un capovolgimento eroico da parte dei due protagonisti.
Uomini contro, quindi, elimina il tabù del mito della Grande Guerra, complice anche il movimento antimilitarista del 1968, e mette in mostra il dramma del nemico interno, dell’inefficienza istituzionale più che rivolgersi ad un nemico esterno. Grazie a queste caratteristiche che lo rendevano universale, dove il messaggio morale trascendeva il periodo storico, il film ebbe un ottimo successo internazionale. Fu anche uno degli ultimi film italiani ambientati durante la Prima Guerra Mondiale.
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Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggioIo intanto ho visto L'inquilino del terzo piano di Roman Polanski. Bè, ho letto che all'epoca non piacque molto né alla critica né al pubblico e non me ne capacito. E' un filmone che chiude degnamente la trilogia dell'appartamento (con Repulsion e Rosemary's Baby). Volendoci trovare delle pecche, forse ricorda fin troppo il precedente Rosemary e forse ha fin troppa carne al fuoco. Forse. Dal mio punto di vista è un'opera molto matura, sapientemente stratificata e complessa, caso raro di thriller psicologico in cui i vari piani di lettura si amalgamano e si completano tra loro senza risultare pretestuosi. Eppure, a fine visione, ho un amaro in bocca che non riesco a capire. Però insomma, è un filmone. Polanski è un maestro nel saper miscelare alla perfezione lo humour ad un crescendo angosciante, riuscendo a destabilizzare lo spettatore senza privarlo di un'ironia di fondo geniale. Tra l'altro il regista si cimenta in una prova d'attore assolutamente convincente.
Voi che ne pensate? Qual è la vostra interpretazione?
In bilico perenne tra horror e black comedy, il film è un perfetto esempio di estrosa capacità nella fusione dei generi e di costruzione della tensione psicologica. Come un sogno, o meglio un delirio, sempre più tetro e stravagante, ci immerge nella mente di Trelkovski attraverso un viaggio denso di simboli e di metafore, dove tutto è suggerito e quasi nulla viene spiegato. Il labile confine sogno-realtà, follia-razionalità su cui si muove questo horror psicologico, conducono lo spettatore in un percorso straniante molto simile ad un labirinto fatto di specchi. I temi cardine, qui espressi con fertile ambiguità, sono la paura del "diverso", la moderna incapacità di comunicare e la solitudine che spesso ci accompagna pur vivendo tutti in promiscuità. Un altro tema, tipicamente polanskiano, è quello di come le apparenze, vedi il modo di vestire o di parlare, finiscano, spesso, per caratterizzare una persona o meglio il modo con cui "gli altri" ci vedono: come se finissimo per diventare "quello che sembriamo" piuttosto che "quello che siamo". I tanti simbolismi di natura psicoanalitica supportano degnamente le tematiche predette: il palazzo alveare che disgrega la psiche, i geroglifici sulle mura del bagno, il macabro orrore nascosto nelle pareti, le figure immobili dietro ai vetri, la metamorfosi finale, fino alla personalità multipla. Da rimarcare anche l'eccellente lavoro fatto anche dal Polanski come attore protagonista, che, tra le altre cose, si doppia da sè anche nella versione italiana del film. E' un film profondamente polanskiano, emlematico per comprendere la sua poetica, nonchè imperdibile per gli amanti degli horror psicologici non convenzionali."E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
Votazione Registi: link
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Originariamente inviato da David.Bowman Visualizza il messaggioQuesto adattamento di Polanski de "Le locataire chimerique" di Roland Topor, è uno splendido incubo gotico, denso di suggestioni kafkiane e di elementi surreali, che fonde insieme thriller, horror, commedia nera e registro del grottesco. Questo importante film contiene tutte le ossessioni del grande regista franco-polacco e va a completare, insieme ai precedenti "Repulsion" (1965) e "Rosemary's Baby" (1968), un'ideale trilogia sul tema degli appartamenti inquietanti, ovvero dell'orrore indicibile che, a volte, si nasconde dietro la banalità del quotidiano (i vicini di casa o le persone che ci circondano). Grazie anche al superbo lavoro di fotografia di Sven Nykvist (tipico collaboratore di Bergman) il film ci regala atmosfere da incubo, splendide suggestioni orrorifiche in chiaro scuro e momenti di assoluta tensione difficili da dimenticare. Dal punto di vista tecnico la pellicola è sontuosa: impossibile non citare, ad esempio, il grande lavoro fatto nelle inquadrature aeree ed i frequenti cambi di prospettiva con l'uso della Louma, metodo che sarà poi imitato anche dal nostro Dario Argento nel funambolico "Opera" (1987).
In bilico perenne tra horror e black comedy, il film è un perfetto esempio di estrosa capacità nella fusione dei generi e di costruzione della tensione psicologica. Come un sogno, o meglio un delirio, sempre più tetro e stravagante, ci immerge nella mente di Trelkovski attraverso un viaggio denso di simboli e di metafore, dove tutto è suggerito e quasi nulla viene spiegato. Il labile confine sogno-realtà, follia-razionalità su cui si muove questo horror psicologico, conducono lo spettatore in un percorso straniante molto simile ad un labirinto fatto di specchi. I temi cardine, qui espressi con fertile ambiguità, sono la paura del "diverso", la moderna incapacità di comunicare e la solitudine che spesso ci accompagna pur vivendo tutti in promiscuità. Un altro tema, tipicamente polanskiano, è quello di come le apparenze, vedi il modo di vestire o di parlare, finiscano, spesso, per caratterizzare una persona o meglio il modo con cui "gli altri" ci vedono: come se finissimo per diventare "quello che sembriamo" piuttosto che "quello che siamo". I tanti simbolismi di natura psicoanalitica supportano degnamente le tematiche predette: il palazzo alveare che disgrega la psiche, i geroglifici sulle mura del bagno, il macabro orrore nascosto nelle pareti, le figure immobili dietro ai vetri, la metamorfosi finale, fino alla personalità multipla. Da rimarcare anche l'eccellente lavoro fatto anche dal Polanski come attore protagonista, che, tra le altre cose, si doppia da sè anche nella versione italiana del film. E' un film profondamente polanskiano, emlematico per comprendere la sua poetica, nonchè imperdibile per gli amanti degli horror psicologici non convenzionali.Qual'è la verità? Ciò che penso io di me, ciò che pensa la gente, o ciò che pensa il burattinaio?
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"E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
Votazione Registi: link
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Originariamente inviato da Mr.Carrey Visualizza il messaggioSi lo so, scherzavo. asd Anche se c'è poco da scherzare con quel videogame.
Tra l'altro noto adesso che hanno tratto un film, interesssssante...
Ciononostante, quando vedo l'immagine a destra (che viene messa in ogni recensione fatta per prendere in giro il film, dall'antro atomico ai 400 calci), il cinefilo che è in me viene meno e la mente si ricollega a tutt'altre passioni.
C'aggià fa, la carne è carne.
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Originariamente inviato da nite owl Visualizza il messaggioDici che la meritava una distribuzione o sta bene su YouTube? Non ho ancora avuto modo di vederlo
In breve:
-> Ho visto film mandati in sala recitati peggio, diretti pggio, scritti peggio e montati peggio. Ma molto molto peggio. Meglio avere in sala questo film che quelli, ciononostante
-> Il livello qualitativo del film, spesso, non è proprio da sala cinematografia (certi momenti di doppiaggio o di recitazione, oltre a certe evidenti ristrettezze economiche)
-> Sfascia è chi per lui, ha realizzato un MIRACOLO PRODUTTIVO. Cioè a vedere quel film, non ti capaciti di come siano riusciti a crearlo in maniera indipendente. Mantenendo sempre in mente questo aspetto si apprezzano maggiormente i (molti) pregi che non i (comunque presenti) difetti.
a presto una recensione.
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Recensione pubblicata nel topic della fantascienza.Qual'è la verità? Ciò che penso io di me, ciò che pensa la gente, o ciò che pensa il burattinaio?
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Ho visto Dune, mmm.. mi sono sentito come se m mancasse un background enorme sulla storia, non è che dovevo leggermi/vedermi altra roba prima?
In ogni caso un film che finisce con "tutto questo è possibile.. perchè lui è il quisaz aderàH" detto da una bimba suora pelata e con gli occhi azzurri sbrilluccicanti non posso giudicarlo senza pensarci de volte asd E' un bel film, con delle scene davvero fighe, dove si è spinto troppo nel voler riportare delle caratteristiche del libro senza i mezzi necessari (tipo gli scudi, sono veramente abominevoli).. comunque e un film sull'epopea giudaica (soprattutto pre-cristiana) se non ho capito male, in chiave sci-fi :seseh:
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I Guardiani Del Destino
Piacevole sorpresa. Abbastanza buono, con due protagonisti in parte e personaggi interessanti, e anche una storia non così prevedibile nello svolgimento. Carino.
I Bambini Sanno
Documentario firmato Veltroni.
Non è così male, si lascia guardare volentieri; però diventa fastidioso quando cerca la lacrimuccia facile, virando sul retorico e sul patetico verso il finale.
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