A me The Outlaw King è sembrato molto sobrio, ero abituato a roba barocca hollywoodiana o infarcita di CGI e ralenty e vederlo è stata una bella sorpresa, non mi aspettavo piacesse così poco. Ma ripeto, venivo dalla visione dell'ultimo Robin Hood che è un po' la summa del prodotto ipercommerciale per adolescenti al cui confronto questo è il Macbeth di Polanski.
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Mask - Dietro la Maschera di Peter Bogdanovich (1985).
Carriera all'insegna della lotta quella di Peter Bogdanovich, nella prima metà degli anni 70' probabilmente negli USA era tra i 2-3 cineasti migliori tra i nuovi talenti, poi purtroppo forse un po' per colpe sue e un po' per pubblico e critica che a turno gli massacrarono tutti i film suoi della seconda metà del decennio, lo fecero sprondare finché il regista andò in rotta di collisione totale con gli studios e uscì finanziariamente distrutto dalle spese di distribuzione di ...E Tutti Risero (1981).
Affettivamente distrutto per la perdita della sua compagna, finanzariamente a pezzi e ostracizzato dal sistema, Bogdanovich resta fermo per svariati anni, finché non si ritrova tra le mani questo progetto che gli aiutò a ripianare parte dei suoi debiti.
Dietro la Maschera (1985), probabilmente è uno dei pochissimi film di produzione americana riguardanti un "malato" che risulta degno di essere visto, poiché riesce a scampare da tutti gli stereotipi che affliggono i film di questo genere grazie anche alla scelta di adoperare il linguaggio della commedia dai toni malinconici.
Rocky Dennis (Eric Stoltz), vive nel pieno della provincia americana (luogo caro a Bogdanovich) e ha il volto deturpato per via di una rara malattia, ma invece di piangersi addosso per questo, affronta la vita con un atteggiamento positivo e molta autoironia, dimostrando così un'intelligenza e una sensibilità superiore alla media.
Bogdanovich ce lo presenta dopo pochi secondi dall'inizio del film e tempo 5 minuti la malattia passa in secondo piano poiché la perfomance dell'attore risulta molto naturale e spigliata, senza cercare alcuna compassione nello spettatore.
Tra l'altro c'è da dire che malattia a parte, i suoi amici bikers sono molto più strambi e freak di lui, ma infondo bonaccioni che però accettano tranquillamente il ragazzo e formano intorno a lui una sorta di "cordone sanitario" a sua protezione quando escono tutti insieme e si ritrova a dover subire delle rimostranze da parte degli altri. Il personaggio più incasinato però è la madre del ragazzo, Rusty (Cher), presa da problemi di droga e relazioni amorose irregolari tanto che Rocky alla fine è costretto spesso a farle da balia.
Bogdanovich ebbe dei contrasti con Cher e la sua recitazione che non lo convinceva, così per la riuscita del film decide di utilizzare dei primi piani sul suo visto invece dei suoi soliti longtake.
Abbiamo il contrasto tra un volto perfetto come quello di Cher e quello sgradevole di Stoltz coperto dal trucco, eppure quello che interessa al regista è andare oltre "la maschera" superficiale del viso, per tirare fuori l'essenza dai suoi personaggi.
Cher è alla sua miglior interpretazione di tutta la sua carriera riuscendo a padroneggiare registri emotivi come mai le capiterà più di fare, riesce a fare sguardi di malessere profondo (specie quando incontra i suoi genitori la sera sul divano) e sguardi profondi dove proietta il disgusto che lei ha per sé stessa sugli altri (litigio con il figlio), ma poi in fondo capace di essere una super mamma grintosa e tosta nell'amare suo figlio, sino a sciogliersi in una muta commozione quando nella casa degli specchi vede l'illusione ottica del volto normale di suo figlio e quindi una possibilità di una strada differente che la vita ha negato ad entrambi.
È una donna non rinchiudibile in schemi precostituiti e per questo Cher ne è l'interprete ideale, poiché segue l'eccentricita' del suo personaggio. Peccato che nel corso degli anni 90' a seguire, l'attrice sia sprofondata nel baratro del nulla tanto che ogni tanto utilizzo l'espressione "pare Cher" quando mi riferisco in modo non lusinghiero ad un'attrice.
La regia e la sceneggiatura evitano ogni retorica o compatimento, asciugando ogni possibile deriva da lacrima movie.
Durante la sua adolescenza Rocky scopre dei sentimenti verso le ragazze, anche se potra' momentaneamente vivere questa esperienza con una ragazza cieca ad un campus per non vedenti (dura realtà).
La percezione tattile aiuta la non-vedente Diana (Laura Dern), a vedere l'effettiva profondità del ragazzo a differenza dei suoi genitori borghesi che lo schiferanno all'istante.
Da incorniciare il magnifico finale che consacra a capolavoro questo film eccezionale così poco ricordato al giorno d'oggi. Il film ebbe molto successo al botteghino e bei riscontri di critica riuscendo temporaneamente a mettere fine alla crisi di Bogdanovich. Tranne per una meritata vittoria a Cannes per Cher come miglior protagonista femminile, il film riceverà poche gratificazioni dai premi, ignorando le prove recitative di entrambi i nostri protagonisti abbastanza inspiegabilmente.
La pellicola è straconsigliata a tutti perché finalmente vediamo l'essere umano e non degli attori che fanno la parodia dei malati sfigati e depressi per raccattare due premi, il che spiegherebbe perché questo film non se lo fili nessuno.
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Originariamente inviato da Sensei Visualizza il messaggioMask - Dietro la Maschera di Peter Bogdanovich (1985).
Per me capolavoro non è, comunque ottimo film di Bogdanovich, da recuperare senza dubbio.
"E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
Votazione Registi: link
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Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis
De Angelis crea immagini poetiche pure con la munnezza, lui è bravissimo e gli attori che lo dico a fare, ma il film l'ho trovato abbastanza scontato e mancante di quell'originalità che aveva contraddistinto Indivisibili, a mio avviso opera molto superiore
In qualche strana maniera noi svalutiamo le cose appena le pronunciamo. Crediamo di esserci immersi nel più profondo dell'abisso, e invece quando torniamo alla superficie la goccia d'acqua sulle punte delle nostre dita pallide non somiglia più al mare donde veniamo. Crediamo di aver scoperto una caverna di meravigliosi tesori e quando risaliamo alla luce non abbiamo che pietre false e frammenti di vetro; e tuttavia nelle tenebre il tesoro seguita a brillare immutato. (Maeterlinck)
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Alcuni film che mi sono piaciuti.
FIRST MAN di D.Chazelle
Riscattandosi gioiosamente dal flaccido lalaland, Chazelle mi stupisce e mi rincuora sfornando un film davvero ottimo, a tratti eccezionale.
Un film che usa i codici di genere finendo alla lunga per svuotarli e reinventarli, un po' concentrandosi sull'intimità e sul privato del nostro, un po' filmando claustrofobicamente e ottundendo il punto di vista, un po' svuotando di retorica celebrativa il film spaziale, tanto che la conclusione è quella di un viaggio personale, interiore (magnifico il paesaggio lunare riflesso interamente dal casco, dalla sua testa), e pure la famigerata Houston filnalmente viene zittita e non proferisce verbo.
Ne vien quasi fuori una metafora esistenziale sul nostro stare al mondo, e, tra fantasmi che ritornano e oggettistica spaziale corruttibile e sgangherata (niente superfici asettiche, linde, ultramoderne), un film più vicino all'intimismo ectoplasmico di un Solaris che non alla spettacolarità hollywodiana. In ogni caso, la mediazione tra hollywood e ambizioni più elevate riesce molto meglio a Chazelle che al signor C.N., il quale dovrebbe prendere appunti su come oscillare tra enfasi formale e compostezza, tra piani stretti e occasionali aperture visive (bellissima l'immagine della navicellina inghiottita, in silenzio, dal vasto buio dei grandi spazi).
LEAVE NO TRACE di D.Granik
Bellissimo, punto. Un racconto formativo davvero insolito, molto americano (l'amore per la wildernes vs. la domesticità femminile), che procede sobrio e sapiente con squisita grazia formale (la fotografia nitida e trasparente che magnifica la meaestà delle grandi foreste), costruendo con gradualità d'altri tempi uno splendido rapporto padre-figlia, un rapporto complesso, toccante, paradossalmente innaturale.
La Granik, pur deprecando obliquamente la simbolica riduzione dei grandi abeti primari ad alberelli di Natale prodotti in serie, evita retorica e manicheismi, e più che contrapporre si limita a giustapporre stili di vita diversi, procedendo limpida e neutra da cima a fondo. E scopre ancora una volta un'attrice finissima, diamante grezzo che si spera non venga aspirato e macellato troppo in fretta dalla fabbrica hollywodiana.
Naturalmente non sapremo mai quale oscuro trauma militare ha spinto il nostro al vagabondaggio, forse perchè un trauma primario non esiste:della vita, semplicemente, a un certo punto ci si stufa.
FIRST REFORMED, Di P.Schrader
Lasciando perdere deviazioni b-moviestische e goffi ghigni grindhouse, o l'improbo tentativo di rendere presentabile l'ultimo N.Cage, Schrader torna a quel che sa fare meglio, e confeziona un film bellissimo.
Ci si ispira un po' al Bergman dei silenzi ma soprattutto al "Diario di un curato di campagna " di Bresson, adattando certe tematiche al mondo moderno, immerso nel pattume industriale e forse prossimo al collasso termico: vera apocalisse in arrivo o crisi personale? Chissà. Gli attori sono sul pezzo e splendidamente diretti, e la fatica di rinnovare amore e fede in una realtà disperante si traduce formalmente in quest'impaginazione austera e concentrata, nel formato quadrato che sa di prigione, nella soppressione ellittica di ogni picco emotivo, nell'ovatta - fertile - posta su ogni scena madre. Promosso a pieni voti.
LAZZARO FELICE di A.Rohrwacher
La Rohrwacher continua a fondere la sua propensione anche formale per il realismo, e l'interesse per i diseredati, con l'inclinazione verso il mito e la favola, reiventando in questo caso una sorta di neorealismo magico alla "Miracolo a Milano" o alla Rossellini (il Lazzaro di Adriano Tardiolo è pasoliniano e rosselliniano, con misteriosa naturalezza), in cui i due elementi, il verosimile e il fiabesco, in linea di massima si ibridano felicemente.
L'autrice intesse la sua parabola con understatement e naturalezza, con regia amabilmente sobria e trasparente ma capace di valorizzare l'arido paesaggio di campagna attraverso magnifiche inquadrature aeree, e il colpo di scena "alla shyamalan" ci proietta nel presente con semplicità perturbante, facendoci riflettere su certi paralleli tra ieri e oggi e sul triste disuso della cicoria.
Forse verso la fine si pecca un po' di didascalismo, ma in fondo la morale della favola in una favola ci sta, mentre altrove striderebbe.
Insomma, piaciuto molto.Ultima modifica di papermoon; 30 novembre 18, 22:37.
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Due film che non mi sono piaciuti:
BlacKkKlansman, di S.Lee
Il "grande ritorno" di S.Lee, per quanto mi riguarda, è mediocre più o meno come l'ultimo Eastwood. Siamo a cavallo tra una lezione scolastica spesso retorica e molesta (orrido il momento in cui i due discutono di blackxploitation, e ne vediamo anche le locandine esplicative), e una sorta di commedia "nera" che non fa ridere, non fa piangere, nè genera suspense di alcun genere.
I personaggi sono privi di spessore - buoni e cattivi in egual misura - e si salva giusto il finale dal vero, da cui l'analogia con l'ultimo parto del grande Clint.
Cose bellissime? Patrice, una pupa per cui mi iscriverei senza batter ciglio a qualunque organizzazione sovversiva, ora.
Quando le sorelle nere hanno smesso di far crescere le chiome libere & selvagge qualcosa di grosso si è incrinato, nel vasto e variopinto ordito delle umane cose
HALLOWEEN di D.G.Green
Mi sono lasciato abbindolare dal regista "rispettabile", dalla presenza di Jamie Lee, dalla collaborazione parziale del sommo John.
Mal me ne è incolto, ahimè. Sostanzialmente mi è parso il solito sequel da pilota automatico che adotta fiaccamente il modello narrativo "ritorno di un vecchio fantasma" con pigrizia e sciatteria totali, sicchè si salvano giusto le cose prese dal vecchio film, ossia M.Myers (per fortuna non ne vediamo il volto, l'icona simbolo del Male è vieppiù rispettata), la scenetta pianosequenziale a metà corsa, e le musichette saltuarie del vecchio John.
La sceneggiatura, classicamente, è a misura di ritardato, con battute che ci spiegano in dettaglio quanto si vede perfettamente anche dall'ultima fila.
"Non era un nascondiglio, era una trappola!".
Ma tu pensa.
E scusate se ho spoilerato ma questa cagata non merita riguardi.
Il cinema popolare odierno conferma qui la sua tremenda fatica nell'inventare o reinventare icone e mitologie, il che è tristissimo.Ultima modifica di papermoon; 30 novembre 18, 18:26.
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OLTRE LA NOTTE Regia di Fatih Akin
Felicemente unita in matrimonio (civile, celebrato in carcere…)con il suo ex pusher (di erba) curdo turco, e mamma di un bambino, Katja _una problematica ma infine risolta donna di Amburgo_ viene devastata dalla perdita della sua famiglia, a causa di un’ azione criminale compiuta a mezzo di una bomba di fabbricazione“artigianale”. Non scartata alcuna ipotesi , l’attenzione giudiziaria si focalizza infine su una coppietta di tedeschi che professa ideologie nazistoidi. Provata dall’attrito coi suoceri e non meno dalla straziante fatica di elaborare il lutto, Katja _non senza ricadute in vecchi vizi_ è chiamata a sopportar lo stillicidio di un procedimento processuale che pur vedendola parte lesa rischia di non produrre un risultato fausto . Ma per lei diverrà imperativo cercare giustizia!
Acceso da digressioni, giustapposizioni e simbolismi abbastanza espliciti ,un film che sembra voler marcare accenti melodrammatici da (scene) madri, dentro la cornice dimessa , multietnica e piccolo borghese di “nuovi tedeschi” che magari hanno scalzato “sovrani” nativi più sfigati di loro , in diretta ed indurita competizione, non prima peraltro di aver ingrossato le galere ma pure con una capacità di adattamento ed energia imprenditoriale che forse tanti #primaitedeschi non sono mai andati a sperimentare , da rifugiati piuttosto nell’arido orticello oltranzista dei loro rancori.
Diane Kruger violenta la sua bellezza per restituirci una ragazzotta fumata e sgraziata, che piange le sue lacrime (e versa anche dell’altro…)e tira su le sue piste per r-esistere; poi se lo Stato al pari dei due neonazi (che si amano con un trasporto che pare il suo con il marito…)appare freddo e distante risponde con una “catartica” aderenza ( superficialmente si può ricordare “Il Buio nell’anima”)ai metodi del torto subìto.Anche al costo di…).
Registicamente colpisce una certa sovraesposizione della luce, che deve (incertezze dell’inquadratura comprese…)simulare videoriprese amatoriali _come il filmino delle vacanze o del matrimonio_ ma poi si estende alla geometrica algidità dell’aula di tribunale e finisce per sterilizzare il soggiorno di Katja vedova. Sarà il mare della Grecia ( che entra nelle dinamiche della storia nella più movimentata parte conclusiva)a tornare a dare un tocco “naturale” alla storia, proiettando le sue onde in riva ad un mondo in cui tutto si tiene e nulla _fosse anche solo in forma atomizzata_ si disperde ma piuttosto si ricombina, anche partendo da presupposti assai distanti. Disponibile in dvd Bim/01 (imho)."...perché senza amore non possiamo che essere stranieri in paradiso"
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Tutti lo sanno di Asghar Farhadi
Mi trovo a concordare con alcune delle critiche negative che ho letto. Innanzitutto si vede e soprattutto si sente che il regista sta dirigendo attori in una lingua che non è la sua e che nemmeno conosce, le interpretazioni mancano completamente di trasporto, al contrario di quanto visto nei film iraniani o anche nel passato.
Il bello degli altri film è che tutto veniva svelato pian piano, creando una tensione costante tra i personaggi che metteva a disagio lo spettatore e facendo sì che poi le rivelazioni arrivassero forti come pugni nello stomaco. Qua invece le rivelazioni clou arrivano ad intervalli precisi senza che nel mezzo accadano troppe cose rilevanti, da questo punto di vista pare uno script piuttosto scolastico anziché qualcosa partorito da una delle migliori penne cinematografiche dell'ultimo decennio.
Prima dell'evento scatenante non si sono praticamente inquadrature o dialoghi che ti facciano percepire che qualcosa andrà storto o che le cose non sono come sembrano.
Le motivazioni e i personaggi dietro al misfatto non scioccano in alcun modo lo spettatore.
Rimane uno scavo nel passato, nelle bugie che i personaggi raccontano a se stessi e nei segreti che cercano di tener nascosti per il quieto vivere. Il tocco veramente alla Farhadi c'è solo un po' nel finale con un sospetto di colpevolezza lasciato in sospeso ma che si gioca tutto in uno scambio di sguardi.
Ad affossare il film rispetto al resto della sua filmografia è poi ovviamente la mancanza dell'aspetto religioso o dei dilemmi morali che contraddistinguono i personaggi iraniani, che ovviamente degli europei non hanno.
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Originariamente inviato da papermoon Visualizza il messaggioFIRST MAN di D.Chazelle
Riscattandosi gioiosamente dal flaccido lalaland, Chazelle mi stupisce e mi rincuora sfornando un film davvero ottimo, a tratti eccezionale.
Un film che usa i codici di genere finendo alla lunga per svuotarli e reinventarli, un po' concentrandosi sull'intimità e sul privato del nostro, un po' filmando claustrofobicamente e ottundendo il punto di vista, un po' svuotando di retorica celebrativa il film spaziale, tanto che la conclusione è quella di un viaggio personale, interiore (magnifico il paesaggio lunare riflesso interamente dal casco, dalla sua testa), e pure la famigerata Houston filnalmente viene zittita e non proferisce verbo.
Ne vien quasi fuori una metafora esistenziale sul nostro stare al mondo, e, tra fantasmi che ritornano e oggettistica spaziale corruttibile e sgangherata (niente superfici asettiche, linde, ultramoderne), un film più vicino all'intimismo ectoplasmico di un Solaris che non alla spettacolarità hollywodiana. In ogni caso, la mediazione tra hollywood e ambizioni più elevate riesce molto meglio a Chazelle che al signor C.N., il quale dovrebbe prendere appunti su come oscillare tra enfasi formale e compostezza, tra piani stretti e occasionali aperture visive (bellissima l'immagine della navicellina inghiottita, in silenzio, dal vasto buio dei grandi spazi).
Ma per piacere... confronto improponibile per esperienza e padronanza del mezzo, filmografia complessiva e ruolo nell'industria cinematografica. E ugualmente improponibile con La La Land.
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Chazelle ha copiato tutte le inquadrature di Nolan fatte in Interstellar e Dunkirk nel suo ultimo film.
Non c'è paragone tra Nolan e Chazelle, giocano in due categorie diverse. Nolan è su un altro piano di realtà.
Vergognoso che Chazelle abbia vinto dei premi e Nolan ancora nessuno.
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Mah, che dirvi...Interstellar non lo rivedo da allora e ormai la memoria vacilla, ma parlare di "clone", al di là di una certa qual aria di famiglia (l'enfasi sulla missione e sull'umana intrapresa, il rapporto padre-figlia, certe somiglianze stilistiche?), mi pare un tantinello esagerato, anche perchè in fondo si tratta in buona parte di generi diversi (in FM c'è una forte componente storico-biografica, eh).
E a parte il fatto che non ricordo, nel film di Nolan (ma magari ricordo male), una tendenza così sistematica a rendere la scena intima e claustrofobica, a ridurre radicalmente il punto di vista, a enfatizzare scricchioli e fragilità materiche dei mitici shuttle, ridotti a trabiccoli sgangherati tenuti insieme con lo sputo (mi ha davvero sorpreso la potenza e l'efficacia di quelle scene, mentre in interstellar mah, l'esplorazione spaziale pare confortevole come una gita nel giardinetto dietro casa), a parte questo, dicevo, chazelle e nolan per certi versi vanno quasi in direzione opposte.
Ossia: oscillando tra grande e piccolo nolan tende a mettere in relazione il personaggio con la più vasta architettura narrativa del film (e addirittura con l'architettura dello spazio-tempo), ad allargare la sua prospettiva insomma, mentre chazelle, anche quando saltuariamente amplia la visuale, non fa che ribadire la sostanziale fragilità, estraneità e limitatezza di sguardo del protagonista, svuotando d'enfasi l'epica spaziale e i discorsi retorico-ideologici intorno alla medesima, ai quali armstrong e il film restano sostanzialmente estranei.
Pensandoci su alla buona mah, per certi versi mi paiono quasi film antitetici.
Al di là del fatto che, primogeniture stilistiche o meno, ho trovato il film di Chazelle decisamente più elegante, efficace, solido, "adulto", molto più accettabilmente a cavallo tra genere e autorialità, per motivi vari e generali. Ma questi saran gusti miei.
E non che voglia difendere Chazelle contro Nolan, anzi, per me lalaland è una roba pressoché insopportabile, il primo giusto un esordio carino.
Questo invece mi ha proprio colpito.Ultima modifica di papermoon; 04 dicembre 18, 21:13.
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