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  • "Room" film davvero meraviglioso.Oscar meritatissimo per Brie Larson ed una menzione speciale per Jacob Tremblay che dimostra davvero di essere un talento(visto anche in "Wonder").
    Voto:8
    "Non discutere mai con un idiota: la gente potrebbe non notare la differenza"

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    • Videodrome di David Cronenberg (1983).

      Prima di ieri per il sottoscritto David Cronenberg era poco più di un sbruffoncello rancoroso, che aveva osato attaccate i magnifici Batman di Nolan, con argomentazioni alquanto fallaci e si era messo a criticare Shining di Stanley Kubrick criticandone la propensione al successo, mentre lui come Fellini è Bergman non ha mai puntato a fare soldi (in effetti dando uno sguardo veloce su Wikipedia, tranne 4-5 film, al botteghino i film del regista Canadese sono sempre andati in perdita). Diciamo che mi stava tremendamente antipatico, ma dopo ieri forse come regista è molto meglio di quanto spara fregnacce, quindi in attesa che un giorno Cronenberg scopra la differenza che intercorre tra 2D e 3D, in modo da capire che Nolan non ha mai girato film in terza dimensione, direi che godersi il Canadese solo come regista è meglio.

      Videodrome (1983) è un'allucinata e surreale metafora della compenetrazione spaventosa (ma oramai ineluttabile alla luce dei tempi odierni) tra il corpo umano e la tecnologia (in questo caso la televisione). Nella pellicola David Cronenberg sin da subito mostra un essere umano pigro ed abulico, che assiste con fare alquanto svogliato ad una donna che parla in televisione; la macchina da presa passa dallo schermo al divano dove troviamo sdraiato Max Renn (James Woods), l'uomo è palesemente annoiato eppure non spegne l'apparecchio televisivo, dimostrandosi così passivamente assuefatto alle immagini del teleschermo, il quale prima ancora di tutti gli avvenimenti che accadranno successivamente, era già un’estensione del suo corpo umano, essendo il televisore “il suo occhio privilegiato da cui osservare la realtà”. L'uomo è il direttore di una piccola stazione televisiva chiamata Cinic TV, rinomata per trasmettere video che trasmettano emozioni forti (principalmente video pornografici) agli spettatori. Per Cronenberg la realtà castra l'istinto primordiale umano per via delle sue regole morali, così che la televisione è divenuta il rifugio solitario ultimo dell'essere umano dove quest'ultimo può dare pieno sfogo ai suoi istinti.

      Lo sguardo del regista su tale fenomeno non è per niente moralista anzi; forse è pienamente favorevole alle persone che con noncuranza non fanno altro che seguire l'istinto primordiale proprio dell'essere umano (il godimento tramite il sesso e il piacere della violenza), contro i moralisti ben pensanti conservatori, che nel film sono incarnati dai gestori di Videodrome. Oramai la compenetrazione tra uomo e tecnologia è divenuta talmente radicata, che quest'ultima è oramai un vero e proprio “organo esterno” dell'essere umano, tanto che quest'ultimo è divenuto pienamente schiavo del mezzo televisivo, evolvendosi in “nuova carne" e trasformarsi una sorta di “homo videns". Oramai dalla realtà fisica apprendiamo sempre meno, diventando decisivo sotto questo punto di vista l'immagine televisiva, la quale a poco a poco si compenetra nella nostra carne sempre più tanto che alla fine diventa essa l'unica realtà, che arriva a mostrarci cosa dobbiamo fare per andare avanti. Per Cronenberg ciò risulta essere spaventoso, poiché alla fine l'uomo non sarà altro che una marionetta che replichera' le immagini mostrate dal mezzo televisivo, divenuto un nuovo guru (quindi la nuova carne), da seguire ciecamente.
      Videodrome è un film dalle immagini dal forte impatto surrealista, con una fotografia che esterna colori forti come il rosso ed il blu, simboli delle emozioni estreme che muovono l'essere umano nella sua vita.

      Ricco di metafore e pervaso da una narrazione a cui non importa puntare sulla logicita' delle concatenazioni tra causa ed effetto, la pellicola è a distanza di quasi 40 anni, un capolavoro assoluto per la capacità di leggere il futuro dell'essere umano, che oramai in pieno terzo millennio si a in gran parte realizzato. Il film non lesina di metafore e mutamenti corporei anche “estremi" dal punto di vista visivo (l'apertura all'altezza dello stomaco è disturbante), dove vi è la “vivificazione" carnale degli oggetti, che assumono vita propria emanano un'aura anche molto erotica, ma grazie all'estremo equilibrio della regia di Cronenberg, non si scade mai nella trashata, cosa molto facile dato l'approccio adoperato alla materia. Alla fine della visione, lo spettatore si ritrova a dover digerire pezzo per pezzo, questo film pionieristico, pervaso da una felice indeterminatezza di fondo, dovuta forse al fatto che neanche Cronenberg si sia voluto spingere sino in fondo nella sua analisi sull'evoluzione dell'essere umano, lasciando poi il compito di specificare più dettagliatamente il concetto a pellicole future che potranno dare uno sguardo sull'uomo più accurato in base all'evoluzione avvenuta.
      Ultima modifica di Sensei; 23 marzo 19, 13:06.

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      • Carol di Todd Haynes (2015).

        La mano che Carol (Cate Blanchett), posa sulla spalla destra della giovane e delicata Therese (Rooney Mara), innesca un viluppo di emozioni sottaciute e celate innanzi alla società, facendo trasalire all'istante la giovane ragazza, mentre la mano poggiata distrattamente dal suo amico Jack sulla spalla sinistra, la lascia totalmente indifferente. È giusto quindi che un contesto sociale bigotto e retrogrado, possa negare tutta una serie di reazioni emotive, cagionate da un contatto tattile, anche se innescate da una persona appartenente allo stesso sesso? La risposta che ottimo dal film Carol (2015), è assolutamente negativa, visto che Haynes dopo oltre 10 anni dal bel Lontano dal Paradiso (2003), costruisce una pellicola tutta al femminile, arrivando comunque alle medesime conclusioni.

        Therese è una giovane ragazza, che svolge un lavoro insoddisfacente come commessa in un negozio di giocattoli e vive una relazione poco approfondita con il fidanzato Richard. A svegliarla dal torpore interviene la figura di Carol, una donna vissuta di estrazione alto-borghese, che entra in sintonia con la ragazza, entrambe vittime di una solitudine devastante. Therese è a disagio con Richard e non prova piacere nel lasciarsi andare con lui, ma ammettere di essere una lesbica non è ovviamente contemplato in una società bigotta, come il contesto sociale americano degli anni 50', tanto che le due donne non usano mai tale parola e Carol addirittura svolge sedute di psicoterapia per cercare di guarire dalla sua "malattia" per potere ottenere l'affido congiunto della figlia, dal momento che si sta separando dal marito.
        Therese innanzi a Richard, risponde piccatamente all'ipotesi di un'infatuazione per una donna, ma intimamente è confusa per delle sensazioni mai provate prima e che sa benissimo essere socialmente riprorevevoli.

        La presa di coscienza della ragazza, avviene durante il primo viaggio in macchina con Carol, da New York a casa della donna, dove dei primissimi piani ovattati ed iniettati di colore verde (simbolo della curiosità di Therese) nelle sequenze di interni, s'intravede attraverso i finestrini un'esterno grigio e piatto, fatto di persone che seguono meccanicamente i valori sociali. Imboccando un tunnel sotterraneo che conduce fuori città, Therese fuoriesce dall'altro capo, intravedendo una nuova luce, che troverà pieno sfogo nel successivo viaggio con Carol verso l'ovest (una nuova frontiera sessuale tutta da scoprire).

        Carol è una pellicola che gioca sul piccolo dettaglio e particolari; un paio di guanti lasciati per sbaglio in negozio, le unghie saltate, le labbra seducenti del personaggio di Cate Blanchett e così via, che fanno da nutrimento per lo sguardo analitico di Therese, che a poco a poco penetrata l'intimità di Carol.
        Haynes si avvale di due grandi interpreti, a cominciare da una divina Cate Blanchett, la quale non ha nulla da dimostrare, se non dare l'ennesimo ritratto riuscito di questa donna altolocata sospesa tra vari fronti ed infelicemente sola, seppur porta sul viso i tratti marcati dell'esperienza; siamo innanzi ad una vera e propria diva dagli anni 30', un mix tra Marlene Dietrich e Greta Garbo. La migliore è senz'altro una dolcissima Rooney Mara, che finalmente trova un film degno del suo talento; una donna giovanissima dal fisico esile quanto agile, ma dallo sguardo angelico grazie a quei magnifici occhi incastonati in uno dei volti femminili più interessante degli ultimi anni al cinema, che le consentono di dare molteplici sfumature alle numerose emozioni interne che si trova a provare; Therese è il fantasma vivente di Audrey Hepburn, a cui Rooney Mara somiglia non poco, ma ovviamente aggiorna il modello con una curiosità più smaliziata dati i tempi cambiati, lasciandosi andare in una sequenza di sesso lesbico con Cate Blanchett (di cui purtroppo non vediamo le tette per contratto... uffa, avevo appositamente scelto il televisore a 50' pollici Full HD per gustarmi la scena, non si fanno queste cose u.u).

        Haynes quindi prende un certo cinema melodrammatico anni 50', per non spostarsi da lì, se non dare rappresentazione adeguata a ciò che la censura del codice Hayes non permetteva di mostrare. Discreti incassi per il film, una meritata Palma d'oro per Rooney Mara e varie nomination agli Oscar, tra cui miglior attrice protagonista e miglior attrice non protagonista, ma zero statuette.

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        • Your Name. di Makoto Shinkai (2016).

          Makoto Shinkai è sempre stato un regista sopravvalutatissimo; salito all'onore delle cronache grazie ad un corto di poco più di 25 minuti La Voce delle Stelle (2002), realizzato praticamente grazie all'ausilio del solo suo PC, ottenne ottime critiche e ottenne ottime vendite nel mercato Home Video, da lì in poi venne salutato come il volto nuovo dell'animazione nipponica, ottenendo nuova fama e gloria con l'iper osannato 5cm al Secondo (2007). Sono sempre stato fieramente tra i detrattori di questo regista, per via del suo stile visivo eccessivamente pompato quanto fine a sè stesso e portatore di una poetica seppur interessante, totalmente incapace di esprimerla attraverso le sue opere tramite la narrazione. Con Your Name (2016), Shinkai realizza il lavoro che gli darà probabilmente eterna fama, vista l'isteria generale nel proclamarlo capolavoro e gli enormi incassi, che ne hanno fatto il film d'animazione Giapponese (ma in generale film in generale) di maggior incasso di sempre, superando anche La Città Incantata di Hayao Miyazaki (2001).
          Il film è stato portato in Italia da Dynit e trasmesso al cinema per 3 giorni, però purtroppo non riuscì a vederlo. Grazie all'accordo tra tale casa con la piattaforma Netflix, finalmente ho potuto vedere l'ultimo "capolavoro" di Shinkai e devo dire che seppur volessi demolirlo, sono costretto a dire che non solo la sua cosa migliore di tutta la carriera, ma alla fine anche se lontano dalle lodi isteriche di certa critica e spettatori ignoranti, alla fine è anche un buon film.

          Il regista prosegue la sua poetica della solitudine dell'essere umano e del legame che trascende il tempo e lo spazio. Shinkai nella sua ultima fatica, usa il linguaggio da commedia romantica con inserti drammatici, per narrare una storia d'impianto tradizionale, di un sottile rosso del destino che unisce i due protagonisti adolescenti; Mitsuha è una giovane adolescente di un piccolo paese di campagna insoddisfatta del posto, la quale sogna di andare a Tokyo un giorno, mentre Taki frequenta anche egli un liceo a Tokyo (resa molto più vivibile di quel che è nella realtà; io l'ho trovata caotica quando l'ho visitata) e svolge un lavoro par-time come cameriere, sognando un giorno di diventare un architetto; cosa hanno in comune i due? Da qualche tempo per un fenomeno inspiegabile, si ritrovano per 2-3 volte a setitmana l'uno nel corpo dell'altro; questa cosa ha a che fare per caso con la cometa che si sta avvicinando al pianeta Terra?
          Diciamo che questa volta la volontà del regista nel voler essere maggiromente commerciale ha per assurdo giovato a Shinkai, visto che riesce a superare in parte i sue difetti precedenti come l'esibizione marcata di un'apparato visivo fine a sè stesso, la fotografia troppo filtrata e stracolma di lens flare insopportabili (anche se qui non mancano), la vacuità delle sceneggiature ed il fastidioso quanto imperante didascalismo. Shinkai finalmente capisce che se dedica 3-4 righe nel tratteggiare i suoi personaggi (alla fine solo i due protagonisti sono un pò più analizzati rispetto agli altri, che sono un mero contorno, ma vi assicuro che è un enorme miglioramento rispetto ai "manichini" animati dei suoi percedenti lavori), forse qualcosa di interessante lo riesce a trasmettere ed il pubblico è accorso in sala questa volta.

          Mitsuha e Taki vivono in uno stato di perenne insoddisfazione, desiderando essere altrove anche se incerti sul da farsi. Shinkai ispirandosi alla tradizione Giapponese ed in parte alla sua poetica, crea un legame tra i due; un sottile filo rosso (il destino), che unisce delicatamente ma in modo inscindibile, questi due adolescenti, rendendoli protagonisti di una sorta di commedia romantica molto atipica, con venature drammatico-soprannaturali (specie nella seconda parte), arrivando ad un finale interessante che si ricollega al titolo; il bisogno da parte dell'essere umano di conoscere il nome nome altrui (i due protagonsiti si pongono continuamente domande in forma dubitativa sulla questione), poichè catalizzatore delle azioni di Mitsuha e Taki, i quali vogliono imprimerselo nella loro memoria a fondo, prima che lo scorrere del tempo, cancelli totalmente ogni ricordo.
          In effetti grazie ad una traccia e alla mera reminescenza di un legame passato, nella sequenza in cui Taki beve il sakè cosnegnato agli Dei, Shinkai tira fuori la sequenza registica più bella di tutto il suo cinema, dvoe fonde la grafica compiuterizzata, con disegni a mano tradizionali ed un apparato visionario impressionante dove lo spazio-tempo si riavvolge, per farsi storia del passato di Mitsuha, lasciando strabiliato lo spettatore.

          Specie nella prima parte, Your Name ha un chiaro tono umoristico, cosa che Shinkai non aveva mai adoperato nei suoi precedenti lavori, generando un discreto divertimenti nello spettatore scaturito dalle buffe vicende dei due protagonsiti che si ritrovano improvvisamente a vivere l'uno nel corpo dell'altro, con i dovuti disagi essendo Taki e Mitsuha di sesso opposto. L'umorismo di Shinkai (anche se dopo un pò questa insistenza delle tette stufa e fa troppo da pervertito, va bene le prime volte, poi basta; a che pro poi l'inquadratura sulle tette di Mitsuha mentre gioca a basket?) questa volte aiuta lo spettatore ad affezionarsi ai due protagonisti, visto anche il character design anonimo e della non molta abilità nel saper tratteggiare delle psicologie credibili da parte del regista (che qui è sceneggiatore come anche nei suoi precedenti film). Se la regia risulta più trattenuta nelle sue sboronate visive, che questa volta sono davvero d'impatto per la capacità di Shinkai nel saper dosare le inquadrature (splendide le panoramiche sul lago e cielo; due entità che sembrano custodire la "memoria" e farsi portatrici di un legame che tracende tempo e spazio. Meno iperrealista rispetto ai suoi precedenti lavori questo è vero, ma questo è dovuto anche al fatto che questo sia un film e non un mediometraggio, ma c'è anche da dire che tutto quel realismo eccessivo, asfissiava inutilmente l'inquadratura) e la fotografia meno uccisa dai lens flare (ma ugualmente un pò troppo patinata, dando la sensazione certe volte di "plasticità" all'insieme); non sempre la narrazione è gestita con eguale perizia, specie nell'utilizzo di flashback e flashforward, dove specie nel terzo atto che alla fine è poco interessante per dove voglia andare a parare, Shinkai finisce non poche volte per incartarsi di brutto con delle soluzioni narrative alquanto deficitarie (non sta in piedi che gli amici di Mitsuha credano a quello che dice, nè regge il cofronto con suo padre, che paga la quasi totale assenza dal film e per poi essere tirato fuori come deus ex machina per sbrogliare tutto il casino, senza un retroterra adeguato). il montaggio musicale, cifra stilistica del regista si può dire, è adoperato meglio, legandosi maggiormente alla narrazione e molto utile per mostrare in poco tempo una grande quantità di avvenimenti, coinvolgendo lo spettatore al contempo nella velocità del tutto. La musica della rock band Giapponese è un contrappunto fondamentale alle immagine, esplicando in quel momento i sentimenti dei protagonisti, come se fossero autori di un proprio monologo.

          Come ho già detto, con questo film, Makoto Shinkai è diventato il regista Giapponese più di successo nel mondo di tutta la storia; per me non lo merita per niente, poichè la buon'anima di Satoshi Kon o quel genio di Mamoru Oshii, con tale storia vi avrebbero tirato fuori quanto meno un ottimo film, mentre qui anche per colpa di una narrazione troppo tarata sull'adolescenziale e colma di stilemme studentischi, oltre il buon film non si và.
          Eccessive le lodi della critica quindi verso tale regista e questo lavoro; forse ciò è dovuto al fatto che oramai ogni cosa "orientale" deve essere automanticamente bella qua in occidente e i Giapponesi ci marciano sopra, tanto che eventuali difetti vengono sempre scusati con la solita affermazione "è la loro cultura, non possiamo capire tutto di un paese così misterioso"; sarà, ma questo discorso allora dovrebbe valere per ogni paese e non solo per Cina, Corea, Taiwan o Giappone. Certo, per una critica ignorante che pensa che lo Studio Ghibli sforni sempre capolavori, che Miyazaki sia il miglior regista d'animazione di sempre e che la Pixar sforni sempre capolavori, allora Your Name può legittimamente essere considerato capolavoro; per chi invece è più colto come il sottoscritto e non si lascia abbindolare facilmente, sarà in grado di dare la giusta collocazione a questo film si interessante, ma ancora acerbo in un pò di punti da aprte di un regista che comunque và detto, rispetto alle sue precedenti opere ha abbandonato finalmente la sua fastidiosa pretenziosità che non sapeva gestire, per concentrarsi un pò di più verso i suoi punti deboli. Si spera quindi che Your Name per Makoto Shinkai possa essere il suo punto di partenza, per una bella carriera.
          Ultima modifica di Sensei; 25 marzo 19, 08:48.

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          • Your Name non l'ho ancora visto, ma 5 cm al secondo e Il giardino delle parole li ho trovati bruttini e quindi in generale sono d'accordo con te.
            https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.

            "Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney

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            • Non capisco perché lo etichettino come il nuovo Miyazaki. Quest'ultimo gli dà non solo le piste, ma ha poco o nulla in comune con Shinkai.

              Quei due film citati da te sono orribili e concordo con il tuo giudizio negativo. Your name per quanto esaltato è un buon film. Io sento di consigliartelo, pure a me i suoi film precedenti non erano piaciuti per nulla.
              Ultima modifica di Sensei; 25 marzo 19, 13:29.

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              • Lo paragonano a Miyazaki per via degli incassi monstre, non c' è altro motivo.

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                • È da un pò che non lo vedo ma la prima parte di "5 cm al secondo" col treno che si ferma causa neve la ricordo come un momento di grande grande fascino, le luci calde delle carrozze riflesse nel bianco sono uno spettacolo, il crepuscolo, i suoni smorzati, la voce del capotreno che si scusa per il ritardo come su un trenord qualsiasi che mi ha fatto sorridere (anche perché qua resiste la leggenda che in Giappone ad un mezzo secondo di ritardo seguono harakiri a catena per espiare), l'ansia del ragazzino di raggiungere la sua amica. Tutto sospeso e delicatamente sentimentale. È vero che il resto del film si perde non poco ma quello è un apice del cinema d'animazione.

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                  • Originariamente inviato da mr.fred Visualizza il messaggio
                    Lo paragonano a Miyazaki per via degli incassi monstre, non c' è altro motivo.
                    Basta quello? Allora è ok anche Mamoru Hosoda, tranne per Mirai che ha fatto un po' meno, tra l'altro Hosoda é molto superiore a Shinkai. Mi mancano i suoi ultimi film, però Wolf Children era veramente ottimo.
                    Ultima modifica di Sensei; 25 marzo 19, 13:56.

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                    • Your name è stupendo, ma di animazione giapponese me ne intendo poco e ne ho guardati pochi quindi non saprei dire se effettivamente c'è di meglio in giro ma l'ho trovato un film bellissimo.

                      Miei recuperi della settimana



                      Frantz di Francoiz Ozon. Anche questo un dramma ambientato poco dopo la guerra di questo poliedrico e prolifico regista francese. E' la storia di un soldato tedesco che va in Francia alla ricerca di notizie di un ex soldato francese suo amico. Sulla sua tomba conosce la sua fidanzata e la loro famiglia. Nella prima parte del film Ozon gioca molto sul mistero di questa relazione, facendo credere al pubblico che i 2 potessero anche essere stati amanti ma poi c'è un colpo di scena che cambia le carte in tavola. Il film spazia da un bellissimo bianco e nero, che ben si adatta ad una regia molto pulita ed elegante, a delle gradazioni cromatiche molto leggere, quasi un effetto pastello, che tecnicamente una delle cose più interessanti del film. Da vedere, anche soprattutto per l'analisi sui contrasti tra popoli vinti e popoli vincitori dopo una guerra.

                      Due sotto il Burqa di Sou Abadi. Commedia degli equivoci francese, una sorta di A qualcuno piace caldo con velo (gli americani han colto molto bene i richiami tanto da averlo titolato Some like it...Veiled). L'inizio è abbastanza scoppiettante, l'idea è decisamente carina ma in tutta la parte centrale le idee comiche diventano più diradate e ripetitive e alla risoluzione dell'equivoco si arriva senza particolari guizzi. Però ci sono alcuni personaggi secondari molto riusciti, come il fratello minore della ragazza protagonista e i genitori di lui, soprattutto la madre, 2 emigrati in Francia dall'Iran, atei e anti islamisti, che raccontano con arguzia la situazione politica della rivoluzione iraniana e di come questi nuovi cittadini europei vivano l'importanza della democrazia europea.

                      7 sconosciuti a El Royale di Drew Gaddard : prima ora davvero molto buona, poi c'è decisamente un calo di ritmo, la storia prende una piega che non mi ha molto convinto, decisamente non all'altezza delle aspettative che vengono create nella prima parte. L'arrivo in scena di Hemsowrth Manson con gli abs perfetti per carità decisamente piacevole da ammirare ma suggella tutto questo in maniera definitiva. Non mi ha convinto particolarmente e mi dispiace perché invece Quella casa nel bosco l'ho adorato. Però la regia di Goddard si conferma decisamente solida, alcune sequenze sono molto molto belle e ben pensate (molte di queste hanno per protagonista una bravissima Chyntia Erivo, tipo quella in cui canta per coprire le martellate di Bridges) e scenograficamente l'albergo è fantastico una location molto bella e ben sfruttata registicamente, che si lascia ammirare con grande piacere per tutta la durata del film.


                      Suite Francese di Saul Dibb. L'ho trovato molto bello. Bei costumi, belle storia d'amore, bello l'intreccio, bellissima Michelle Williams e bellissimo Matthias Schoenarts.. Sicuramente la storia personale della scrittrice Irène Némirovsky, che non ha potuto terminare il romanzo che doveva essere composto da 5 differenti racconti (questo film è tratto dal secondo e ultimo terminato) perché uccisa ad Auschwitz rende ancora più commovente questa storia, come se la Nemirovsky abbia tentato con la sua letteratura di convincersi che la Storia e il nemico potessero avere una umanità che invece è irrotta alla fine con tutta la sua spietatezza.

                      L'altro volto della speranza di Aki Kaurismaki. Un gioiellino questo film finlandese. Un film di sinistra, ma proprio di sinistra. Un inno pro immigrati e pro rifugiati ma che funziona per il solito per me geniale tono sopra le righe e grottesco ma allo stesso tempo tenero e buffo, che è un marchio di unicità di Kaurismaki. Uno dei film più belli fatti fin ora sulla emergenza dei rifugiati siriani, una cosa di cui fra 30 anni parleremo come evento cardine di questi anni che stiamo vivendo. Bellissime e divertentissime le scene al ristorante. Fotografia e interni curatissimi e molto belli, che come stile e cromature ricordano parecchio quelle dei film di Wes Anderson. Da vedere.

                      Morto stalin se ne fa un altro di Armando Iannucci. Una satira spietatissima dei regimi comunisti e socialisti. Grandi attori, sceneggiatura decisamente brillante, che non risparmia niente e nessuno. Alcune scene mi hanno fatto riflettere su come sia possibili mostrare stalin e i suoi che camminano in un corridoio a parlare dei fatti loro mentre guardie attorno sparano in testa a dei detenuti o li torturino e tutto questo funziona dal punto di vista comico, mentre vedere dei generali nazisti fare una cosa simile sarebbe molto molto difficile in un contesto comico. Qua funziona perchè alla fine pure se ci spiaccicano la verità in faccia il nostro giudizio verso certi personaggi storici sarà sempre diverso da quello che abbiamo nei confronti di altri? Questa cosa è molto interessante e mi ha fatto riflettere, anche a livello di autoanalisi.

                      La vendetta di un uomo tranquillo di Raoul Arevalo. Thrillerone spagnolo con tipica trama da revenge movie che però nella parte centrale e nel finale piazza sapientemente al punto giusto 2 colpi di scena che tengono alta l'attenzione fino alla fine. Film trionfatore ai Goya quando uscì. Vinse di tutto dal film, alla regia, alla scenneggiatura.
                      La regia effettivamente è davvero buona, considerando che si tratta poi di un'opera prima di un giovane attore di cinema e tv spagnolo Ci sono un paio di sequenze davvero di gran livello, compresa quella finale. Se piace il genere, che non è esattamente uno dei miei preferiti, credo che una visione la valga.

                      Poetry di Chan- dong- Lee. Questo è il film della settimana. Da vedere assolutamente. Una storia semplice ma bellissima, profonda e costruita benissimo (meritato il premio alla sceneggiatura a Cannes). La notizia del suicidio di una giovane liceale irrompe nella vita di una anziana signora (il legame tra la donna e la giovane ragazza si svelerà nel film) malata di alzheimer e appassionata di poesia. Il personaggio della anziana signora non si dimentica facilmente ed è interpretato da una magnifica Jeong - Hie Yun. Il finale è semplicemente da applausi, uno dei finali più belli che ho visto da tanto tempo a questa parte. Imperdibile. Ora attendo l'uscita italiana di Burning, il film successivo del regista uscito l'anno scorso e presentato a Cannes.
                      Ultima modifica di Sebastian Wilder; 25 marzo 19, 21:49.

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                      • Sensei m'era sfuggita la tua prima esperienza con Cronenberg! Non sono sorpreso, ero certo che a dispetto dei pregiudizi avresti apprezzato il suo cinema. Tra La mosca, Il pasto nudo, M.Butterfly, Crash etc etc hai tutta una serie di filmoni da scoprire.
                        https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.

                        "Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney

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                        • Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggio
                          Sensei m'era sfuggita la tua prima esperienza con Cronenberg! Non sono sorpreso, ero certo che a dispetto dei pregiudizi avresti apprezzato il suo cinema. Tra La mosca, Il pasto nudo, M.Butterfly, Crash etc etc hai tutta una serie di filmoni da scoprire.
                          Innanzi ad un film così bello, che gli vuoi dire. Ha influenzato praticamente una marea di film successivi, a suo modo un precursore nelle tematiche di Matrix, Ghost in the Shell etc... solo più viscerale e allucinato... alla Cronenberg, ora che ho afferrato un po'.

                          L'apertura all'altezza dello stomaco m'ha fatto schifo e disturbato, come voleva il regista.

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                          • Originariamente inviato da Sebastian Wilder Visualizza il messaggio


                            L'altro volto della speranza di Aki Kaurismaki. Un gioiellino questo film finlandese. Un film di sinistra, ma proprio di sinistra. Un inno pro immigrati e pro rifugiati ma che funziona per il solito per me geniale tono sopra le righe e grottesco ma allo stesso tempo tenero e buffo, che è un marchio di unicità di Kaurismaki. Uno dei film più belli fatti fin ora sulla emergenza dei rifugiati siriani, una cosa di cui fra 30 anni parleremo come evento cardine di questi anni che stiamo vivendo. Bellissime e divertentissime le scene al ristorante. Fotografia e interni curatissimi e molto belli, che come stile e cromature ricordano parecchio quelle dei film di Wes Anderson. Da vedere.
                            ho trovato su Google un articolo a proposito che confronta la fotografia e le scenografie di questo film, ma anche il modo in cui personaggi stanno in scena quasi sempre in posizione frontale rispetto alla camera e con una certa rigidità ai quadri di Edward Hopper. Posto delle immagini
                            Ultima modifica di Sebastian Wilder; 25 marzo 19, 22:59.

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                            • ho visto chiamami col tuo nome e francamente si salva solo grazie a uno strepitoso chalamet, per il resto è un film modesto e anche noioso, di gran lunga inferiore a brokeback mountain, quello si un grande film, da adesso mi schiero ufficialmente dalla parte di chi ritiene guadagnino un sopravvalutato e non mi meraviglia il flop del suo film successivo

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                              • Vabé tipo confrontare ad Astra con the Martian. Confrontiamo 2 cose completamente diverse perché ci stanno i gay?. Almeno confrontalo boh.. con la vita di Adele. Ma tu lo guardi sto tipo di cinema?
                                Ma poi ancora con sto flop di suspiria, come se gli altri film suoi invece avessero incassato chissà che. Suspiria è il film da festival più importante del 2018, da 4 mesi sta nella top 100 dei film più popolari su imdb, ha raggiunto persino la top5. Ha già più voti di war machine uscito su Netflix con la super star bred Pitt ​​​​​​. Non ha fatto altro che confermare e persino aumentare l'impatto di guadagnino come nostro regista più importante sulla scena internazionale e come uno dei registi più importanti della scena indipendente e autoriale.

                                ​​​​​

                                L'incipit dell'articolo di Indiewire sulla serie hbo del guadagna

                                "Luca Guadagnino is quickly becoming one of the film world’s most exciting (and unpredictable) filmmakers....... "

                                Ultima modifica di Sebastian Wilder; 26 marzo 19, 09:57.

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