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  • Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma

    Bel film, ma sopravvalutato. Parliamone: su Letterboxd ha la media voto del 4.4 su 5, ovvero quella dei maggiori capolavori della storia del cinema. La Sciamma gira con gusto, ma il film è ampiamente, troppo prevedibile, la sceneggiatura viaggia su dei binari ben visibili e quelle poche cose che dovrebbero essere lasciate alle immagini vengono spiegate minuziosamente (Orfeo ed Euridice).
    https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.

    "Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney

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    • Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggio
      Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma

      Bel film, ma sopravvalutato. Parliamone: su Letterboxd ha la media voto del 4.4 su 5, ovvero quella dei maggiori capolavori della storia del cinema. La Sciamma gira con gusto, ma il film è ampiamente, troppo prevedibile, la sceneggiatura viaggia su dei binari ben visibili e quelle poche cose che dovrebbero essere lasciate alle immagini vengono spiegate minuziosamente (Orfeo ed Euridice).
      in buona sostanza sono d'accordo con te
      "E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"


      Votazione Registi: link

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      • Ho visto Go go tales di Abel Ferrara, film su un proprietario di uno strip club (interpretato da Willem Dafoe) col vizio, o meglio, l'addiction, trattandosi di Ferrara, del gioco. Ha un suo fascino pur non essendo del tutto convincente (soprattutto quando lo strip club si trasforma in cabaret... così, senza apparente motivo, se non quello di dare un po' più di consistenza alle ragazze e non farle sembrare, sorrentinianamente, corpi che non sanno fare un cazzo) ma il finale, col monologo di Dafoe e quello che segue, è molto bello.
        L'ho visto in lingua originale con dei sottotitoli italiani forse trascritti dalla versione doppiata e, curiosamente, la traduzione ha molte più parolacce dell'originale e un sacco di battute che non vengono pronunciate da nessuno. Boh.

        Mi ha ricordato un altro film, di cui questo è un po' un remake, e cioè L'assassinio di un allibratore cinese di Cassavetes (che sono andato a rivedermi) con protagonista, anche qui, il proprietario di uno strip club (interpretato da Ben Gazzara) che si indebita al gioco, trovandosi poi costretto ad assassinare l'allibratore del titolo per ripianare il suo debito.
        Era da un po' che non guardavo un film di Cassavetes e mi ha colpito molto il fatto che abbia un ritmo tutto suo, più lento rispetto ai film americani del periodo... questo, mi sembra, è dovuto perlopiù alla presenza di momenti non narrativi (le lunghe esibizioni musicali) o altre sequenze molto dilatate, fino ai tempi morti.
        Le interpretazioni sono uno spettacolo, come al solito... libere, realistiche... ci sono tutti gli attori/amici di Cassavetes: Ben Gazzara, Seymour Cassel, Tim Carey, un cameo di Val Avery. Monologo finale di Gazzara in camerino straordinario.

        Entrambi i film mi hanno ricordato poi Uncut Gems, per la storia ovviamente (il gioco, l'addiction, i debiti ecc) ma il secondo anche per il realismo delle interpretazioni (i Safdie, in questo, sono da sempre straordinariamente cassavetesiani).
        Ultima modifica di Fish_seeks_water; 26 aprile 20, 21:20.

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        • Di Miami Vice ne avete parlato solo qui. A me è sembrato di aver perso 2 ore.
          Che fosse lo stesso regista di Heat l'ho scoperto a fine visione e mi sembra assurdo. Lineare e piatto, non c'è nulla di memorabile, sembra quasi una lunga puntata di una mediocre serie. A tal proposito la serie dal quale è tratto non l'ho mai seguita, immagino sia poliziesca ma con quali particolari caratteristiche? Non si intuisce.

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          • Miami Vice piccolo capolavoro, soffre forse di un soggetto televisivo, ma la regia è un qualcosa di magnificente. Farrell e Fox al top.

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            • I giorni contati di Elio Petri

              Credevo di vedere non dico un Petri minore, ma sicuramente non un capolavoro. E invece, mi son trovato di fronte ad uno dei film più belli e sottovalutati della storia del cinema italiano. Tutto clamorosamente bello e potente, di grande attualità ancora oggi.
              https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.

              "Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney

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              • Ho visto L'Apollonide di Bonello, film su una casa chiusa di fine Ottocento, da lui firmato nel 2011. L'ho trovato faticoso, estenuante, lentissimo. Non succede molto, anzi quasi niente... non c'è erotismo, non c'è sesso... Una delle prostitute a un certo punto viene sfregiata da un cliente e diventa Joker (e non ho ancora capito se questa cosa mi piace o se è una stronzata), bello però l'uso della musica (con brani fuori contesto) e i pochi momenti onirici. Un'immagine iconica c'è: la prostituta che, in sogno, versa lacrime di sperma. Mi è piaciuto (per quello che dice) il finale con salto nel tempo, alla contemporaneità.

                Alcune buone intuizioni, insomma, in un film che, però, è faticosissimo da vedere.

                Le prostitute hanno volti noti del cinema francese: Hafsia Herzi, Adèle Haenel (in uno dei suoi primi ruoli), Jasmine Trinca, Esther Garrel (in un ruolo molto minore). C'è anche (meno conosciuta) Judith Lou Lévy che poi si è messa a fare la produttrice (dei film di Mati Diop). Belli i costumi e la fotografia.
                Ultima modifica di Fish_seeks_water; 28 aprile 20, 12:59.

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                • Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggio
                  I giorni contati di Elio Petri

                  Credevo di vedere non dico un Petri minore, ma sicuramente non un capolavoro. E invece, mi son trovato di fronte ad uno dei film più belli e sottovalutati della storia del cinema italiano. Tutto clamorosamente bello e potente, di grande attualità ancora oggi.
                  L'ho visto qualche mese fa su Raistoria, e anch'io non avendone sentito parlare rispetto ad altri suoi film più celebri non m'aspettavo troppo. E invece! mi ha molto sorpreso, pure per come è sviluppata la vicenda, e bravissimo anche Salvo Randone nel tratteggiare questo personaggio così umano. Lo consiglio anch'io a chi non l'abbia mai visto, anche per vedere un controcanto rispetto al racconto di quegli anni del boom.

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                  • SCusate di Affleck, (1) tra Argo e The Town quale preferite? e (2) son meglio le dc dei theatrical?

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                    • Io preferisco The Town, la versione DC ha poche differenze dalla versione cinematografica. Di Argo non ero a conoscenza delle due versioni. Due regie di livello per quanto mi riguarda, anche Gone Baby Gone molto buono. Affleck ha clamorosamente toppato con Live by Night e dire che dai trailer si respirava aria di un ulteriore miglioramento. Attendo il suo prossimo lavoro.

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                      • Cobra non è rappresenta un esempio di cinema che ogni giovane regista che vuole esordire in questo difficile ambito artistico dovrebbe vedere e rivedere a menadito, con un blocco per gli appunti a portata di mano in ogni sequenza, per comprendere senza dubbio alcuno come non si fa un film

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                        • Visto The Town.
                          Davvero molto bello, scrittura e dialoghi davvero fatti bene, e le rapine molto ma molto calibrate e fighe. Buonissimo film. Se avessero messo un altro protagonista al posto di Affleck sarebbe stato ancora meglio, troppo monoespressivo...boh a me non piace troppo.

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                          • Buone Notizie di Elio Petri

                            Altro film poco visto e conosciuto di Petri, altro capolavoro. Altro che Videodrome, la Nuova Carne è già tutta qui.
                            https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.

                            "Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney

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                            • Originariamente inviato da Medeis Visualizza il messaggio
                              Cobra non è rappresenta un esempio di cinema che ogni giovane regista che vuole esordire in questo difficile ambito artistico dovrebbe vedere e rivedere a menadito, con un blocco per gli appunti a portata di mano in ogni sequenza, per comprendere senza dubbio alcuno come non si fa un film
                              Ti riferisci alla spazzatura con Sylvester Stallone? O ci sono altri Cobra?

                              Comunque qualcosa di visto o rivisto :


                              Intrigo Internazionale di Alfred Hitchcock (1959).

                              Alfred Hitchcock è un regista con cui tranne qualche film, difficilmente sono riuscito ad entrare in piena sintonia, sarà perché più che registi nel cinema cerco intellettuali pensatori e tale regista non lo è nel senso stretto nel termine, costringendo talune volte a dover visionare più volte i suoi film prima di coglierne il meccanismo posto alla base. Intrigo Internazionale (1959) l'ho dovuto vedere per la terza volta per iniziare ad intravedere il genio nascosto dietro la superficie ingarbugliata della narrazione e praticare una delle rivalutazioni più eclatanti fatte dal sottoscritto per un'opera cinematografica, che indubbiamente risulta molto più leggera e lontana dalla profondità psicologica del precedente Vertigo (1958), anche se riserva sorprese lungo il suo sviluppo. Hitchcock parte con la suggestiva inquadratura dei vetri di un palazzo, che riflettono le macchine sottostanti del traffico cittadino di New York, accompagnata dalla suggestiva colonna sonora di Bernard Hermann dai ritmi di un rompicapo dalla soluzione impossibile, mettendo in chiaro sin da subito l'intricato gioco di riflessi che ruota intorno alla figura del borghese pubblicitario Roger Thornhill (Cary Grant), scambiato da un'organizzazione criminale per un certo George Kaplan, che cercano per questo motivo di farlo fuori.
                              Lo scambio d'identità ritorna nuovamente al centro dell'indagine del regista, con la tipica figura dell'innocente che deve discolparsi in questo caso dall'accusa di omicidio perchè la polizia come al solito nei film del regista non serve a nulla, così il protagonista non può fare altro che andare alla la ricerca del vero George Kaplan per risolvere la faccenda, imbattendosi lungo la sua ricerca nella bellissima Eve Kendall (Eva Saint Marie), la quale sembra avere dei legami con gli uomini che hanno cercato di far fuori Roger in precedenza, i quali sono capitanati dal misterioso Phillip Vandamm (James Mason).

                              Se uno cerca l'antenato del concetto di blockbuster, Intrigo Internazionale sicuramente è il candidato più idoneo al titolo, grazie ad un montaggio che riesce a dosare i tempi della commedia, del romanticismo puro e dell'azione, calibrando bene i cambi di tono e genere che si susseguono, visti i numerosi colpi di scena e le molte trovate d'ingegno di Robert, con cui riesce ad uscire da situazioni difficili come all'asta di oggetti d'arte. La realtà non è quella che sembra ed Hitchcock si diverte a giocare con il concetto messa in scena sovvertendo le aspettative dello spettatore nel rappresentare una scena di agguato in uno stradone di campagna fuori Chicago in pieno giorno e senza nessun pericolo che possa saltare fuori... a meno che non venga dall'alto tramite un aereo! La sequenza molto difficoltosa dal punto di vista tecnico e che si giova di riprese in esterna combinate con altre in studio, riesce a generare un'ottima tensione nello spettatore giocando con i vasti spazi aperti in cui è impossibile trovare riparo e da un luogo rassicurante, si è trasformato di colpo in una trappola.
                              Il lavoro sulla location ritornerà nel finale, con l'ambientazione nel covo di Vandamm e successivamente nel lungo confronto finale sul monte Rushmore, per uno scontro epico tra tutti i personaggi principali della pellicola, in equilibrio precario data la conformazione del luogo e la grande altezza dal suolo.
                              Azione, avventura, intrighi, colpi di scena, umorismo (che serve a mascherare le forzature della sceneggiatura) e un po' di romanticismo passionale come i capelli biondo accecanti di Eva Saint Marie, valorizzati dalla macchina da presa del regista, abile nel tratteggiare l'ennesima bionda di ghiaccio della sua filmografia, anche se rispetto a Grace Kelly, Eva Saint Marie sembra possedere un magnetismo "letale" se non tenuto a bada dal partner.
                              La trama sconta una infelice rivelazione dell'identità di George Kaplan subito dopo l'accusa di omicidio mossa a Roger, nonché delle forzature nello sviluppo e una generale non credibilità di base(un borghese apatico affronta e sgomina tutto da solo la banda dei cattivi addestrati ed esperti?), con cui si ovvia con una dose adeguata di ironia, con la quale il regista cerca un distacco umoristico dalla materia narrata, la quale comunque si segue molto piacevolmente lungo la sua durata. Intrigo Internazionale ottenne un gran successo di pubblico e critica, ma i primi a percepirne le innovazioni furono i nascenti film della saga 007 e Sciarada di Stanley Donen (1963), per poi fungere da fonte di ispirazione per molti blockbuster successivi che pur replicando la formula, ne aumenteranno le dosi di spettacolarità, senza mai raggiungere i risultati di questo capolavoro.



                              Chi ha incastrato Roger Rabbit di Robert Zemeckis (1988).


                              Pensandoci sopra ad oltre 24 ore dalla visione, Chi ha Incastrato Roger Rabbit (1988), rappresenta a tutti gli effetti il miglior film del regista insieme al primo Ritorno al Futuro (1985), Robert Zemeckis forse è un po' troppo esaltato da certa critica e pubblico, che negli ultimi anni sembrano avergli voltato le spalle quando invece continua a sfornare roba interessante anche se non più al livello degli anni 80' durante i quali aveva toccato l'apice a livello artistico.
                              Non siamo davanti al primo film in tecnica mista, dove live action e animazione sono fusi insieme come qualcuno ha detto, però sicuramente la tecnica in tale pellicola non solo é usata estensivamente per tutta la durata, ma raggiunge risultati perfetti sotto il profilo dell'integrazione tra le due componenti, mostrando forse qualche difetto quando il gorilla sbatte fuori dal locale l'investigatore Eddie Valiant (Bob Hoskins) dove si vede che l'attore è sospeso a dei cavi cancellati in post-produzione, anche se in effetti è cercare il pelo nell'uovo visto che a distanza di oltre 30 anni, il film a livello vidivo è datato poco e nulla perché Zemeckis sa come usare sapientemente gli effetti speciali, senza lasciarsi prendere la mano combinando poi disastri.
                              Indubbiamente il lato visivo è la componente più importante dell'opera, rispetto alla storia in sé che è già risaputa e abbastanza intuibile sull'identità del colpevole, per via di un'anima in sospeso tra la componente più infantile-bambinesca e quella più adulta, che non sempre nel tono si uniscono in risultati soddisfacenti, perché diciamocela tutta, per quanto simpatico, Roger Rabbit è il personaggio meno interessante di tutta la pellicola ed anche quello più banale in certi frangenti, venendo spesso oscurato dai partner che duettano con lui.

                              Infarcito di omaggi estetici e narrativi ai noir anni 40', Zemeckis li fonde con una messa in scena cartonesca, la quale serve anche a prendere in giro e satirizzare alcune componenti tipiche del genere, a cominciare dal grande Bob Hoskins nei panni dell'investigatore irascibile ed alcolizzato, tanto da venir soprannominato "Jack Daniels" dai colleghi, costretto a dover investigare sul presunto tradimento della moglie della star animata Roger Rabbit perché oramai ridotto al verde, nonostante l'uomo odi i cartoni per via di un brutto avvenimento del suo passato. La figura del detective ha chiari riferimenti ad Humphrey Bogart sotto il profilo del look, anche se è apprezzabile il fatto che fisicamente non sia in forma (Harrison Ford che era prima scelta non lo vedevo bene nel ruolo), anche se ciò non ne diminuisce le capacità investigative, che dovrà usare a pieno regime per scoprire la verità sull'omicidio di Marvin Acme (Stubby Kaye), del quale il principale sospettato dal giudice Morton (Christopher Lloyd) è Roger Rabbit, perché l'uomo ucciso era l'amante della moglie.
                              In un mondo dove esseri umani e cartoni interagiscono in modo tangibile, riconosciamo numerosi personaggi Disney e Warner, usati anche in modo dissacrante rispetto ai loro ruoli, come l'uccellino Titty che cerca di uccidere Hoskins o l'uso della new entry Baby Herman con le sue battute a sfondo sessuale (il pisellino di un bambino di tre anni e le voglie di un cinquantenne), ma indubbiamente il miglior personaggio di tutto il film è la strepitosa Jessica Rabbit, moglie di Roger Rabbit, plasmata sulle fattezze di Rita Hayworth, super sexy nell'aspetto e all'apparenza cattiva ma solo perché la disegnano così, una femme fatale dal carisma enorme, dall'incalcolabile presenza scenica, sfaccettata, umana e vabbè ci ripetiamo, anche sexy, che tuttavia nasconde ben maggiore sensibilità di quanto non sembri. Fosse per Jessica Rabbit e la genialità della sua figura, il film meriterebbe 5 stelle spaccate, purtroppo il marito non è alla sua altezza e la pellicola proceda per accumulo di ridondanze visive splastick nel finale, che si regge grazie a Bob Hoskins e al malefico giudice interpretato ottimamente da Christopher Llyod, che gli conferisce un'aria "fumettistica" nella sua folle maschera spietata. Un pezzo di ottimo cinema d'intrattenimento a livelli eccellenti, come se ne vedono oramai ben pochi, anche se forse un po' troppo sopravvalutato da certa critica come Mereghetti e le sue 4 stelle.

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                              • Ombre di John Cassavetes (1959).

                                Ho scoperto praticamente dal nulla che se hai Amazon Prime, hai accesso anche alla piattaforma streaming e con grande gioia ho scoperto che il catalogo filmico è veramente notevole, con film di tutti i tipi e gusti, molto spazio anche a pellicole d'autore e d'annata, rispetto a quella bufala sopravvalutata di Netflix non c'è proprio paragone e grazie ad Amazon ho potuto vedere Ombre (1959) di John Cassavetes in una qualità video come si deve, dato che il film venne girato con pellicola 16mm ed in modo totalmente indipendente con attori non professionisti, costruendo il film tutto sull'improvvisazione come dichiarato dal cineasta nei titoli di coda. Rigirato praticamente 2 volte, la versione che vediamo oggi è quella del 1959, la quale contiene rispetto alla prima un maggior approfondimento psicologico dei tre protagonisti e mette più in secondo piano la questione razziale (che fu comunque l'elemento di novità), scegliendo di avere come protagonisti tre afroamericani, una scelta inedita, praticamente si dovranno aspettare oltre 60-70 anni per avere poi ad Hollywood alcune pellicole con personaggi di colore in maggioranza.
                                Ben, Hugh e Lelia sono fratelli e sorelle, che vivono nella Manhattan di fine anni 50', molto lontana dai ritratti idilliaci dei film americani di quel periodo, è un quartiere caotico, pieno di persone, dalla pulizia non impeccabile e pieno di giovani che vanno in giro, tra cui il nostro Ben, cercando di divertirsi come possono stando attenti al spendere le esigue finanze, mentre Hugh è un cantate Jazz vecchio stile che cerca di dare una svolta lavorativa ed infine Lelia, sfruttando il fatto di avere la pelle bianca, cerca di trarre vantaggi intrattenendo numerosi flirt anche con ragazzi bianchi.
                                Le tre figure sono relegate ai margini della società, preda di un disagio esistenziale comune a tutti i personaggi del film, impossibilitati a raggiungere in ogni modo un obiettivo che diventa sempre più evanescente, inafferrabile proprio come le ombre e quindi mai destinato ad essere raggiunto, se non con un compresso al ribasso.

                                Durando poco più di 80' minuti, Cassavetes non si perde in lungaggini, sfruttando la macchina da presa con soluzioni libere ed inedite, nel mettere in scena le nevrosi di una nuova generazione in fermento, con uno stile molto realistico fatto di primi piani marcati ed un uso della fotografia calibrato sul momento, per evitare di avere un film troppo artificioso nella costruzione, consegnandoci così un film tecnicamente un po' rozzo e che mostra un po' il fianco nel montaggio, ancora in sospeso tra dissolvenze classiche e tentativi di jump cut innaturali, ma risulta innegabile la freschezza di questa opera prima.
                                Se Ben non ha ancora deciso cosa vuole essere da grande, perdendo tempo dietro la comitiva di ragazzi bianchi, invece di sviluppare la sua abilità di trombettista jazz (il compositore di parte della colonna sonora del film è Charles Mingus, una scelta stilistica in netta controtendenza rispetto al nascente rock americano), mentre Hugh trova mortificate le proprie aspirazioni artistiche, Lelia vive il segmento più politico del film, tramite la relazione con Tony (Anthony Ray, figlio del regista Nicholas Ray), con cui ha anche una scena di sesso (bypassata fuori-campo ovviamente), rompendo il tabù della mescolanza razziale al cinema e portando il ragazzo ad una reazione di sdegno quando scopre l'etnia afroamericana della ragazza, mostrando la sua natura bigotta e schiava dell'ombra del pregiudizio, con tanto di scontro con Hugh.
                                Nessuno dei tre personaggi raggiungerà il traguardo delle proprie aspirazioni iniziali, dovendo scendere a compromessi nei rispettivi finali aperti e non risolutivi del tutto, facendosi anticipatore di almeno un decennio, dei temi e dello stile alla base della New Hollywood, cge sorgerà dalle ceneri del morente e vecchio cinema classico, con John Cassavetes indiscusso fondatore del cinema indipendente americano e con un grande avvenire sia come regista che come attore, ottenendo con Ombre (1959) un ottimo successo di critica ed il premio della giuria a Venezia.




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