Immagino le risate sul set durante le scene urlate
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Originariamente inviato da Bone Machine Visualizza il messaggioMandibules è già disponibile in streaming da qualche parte?
Comunque per cercare fai prima ad usare JustWatch: https://www.justwatch.com/it/film/ma...ni-e-una-moscaLuminous beings are we, not this crude matter.
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Originariamente inviato da Sir Dan Fortesque Visualizza il messaggio
Io l'ho visto su NOW.
Comunque per cercare fai prima ad usare JustWatch: https://www.justwatch.com/it/film/ma...ni-e-una-mosca
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Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggioAriaferma di Leonardo Di Costanzo
Il miglior film italiano dell'anno. Di Costanzo gioca sulle aspettative dello spettatore, scrivendo un'opera anti-drammatica ed anti-spettacolare, umanissima, con interpreti bravissimi. Silvio Orlando e Servillo assieme, con una recitazione tutta di sottrazione, sono perfetti.
Al di là di questo confermo che i momenti migliori sono offerti dai dialoghi tra Orlando e Servillo, allo stesso tempo il resto del cast, con forse la sola eccezione di Fabrizio Ferracane, è mal sfruttato, cogliamo veramente poco di tutti gli altri agenti e detenuti, si è persa l'occasione di fare un film più corale.
Come dici tu è un film anti-drammatico e anti-spettacolare e direi che gioca contro le aspettative dello spettatore, non che sia per forza un male ma credo il tutto porti a uno dei non finali più evidenti che ricordi. Ci sono anche situazioni accennate e non approfondite, che farebbero quasi pensare al pilot di una serie più che a un film autoconclusivo.
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Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggioAriaferma di Leonardo Di Costanzo
Il miglior film italiano dell'anno. Di Costanzo gioca sulle aspettative dello spettatore, scrivendo un'opera anti-drammatica ed anti-spettacolare, umanissima, con interpreti bravissimi. Silvio Orlando e Servillo assieme, con una recitazione tutta di sottrazione, sono perfetti."E' buffo come i colori del vero mondo diventano veramente veri soltanto quando uno li vede sullo schermo"
Votazione Registi: link
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Non ho altri metri di paragone per quanto riguarda la filmografia del regista, ad ogni modo lo ritengo un film valido nel complesso, seppur in modo molto più moderato rispetto a Gidan e David. Per quanto riguarda i film italiani del 2021 gli ho preferito Freaks out, Qui rido io e quello di Sorrentino. Mi mancano ancora diversi film da recuperare e stringendo il campo a quelli italiani non so cos'altro valga la pena vedere, ad ogni modo quei tre e lo stesso Ariaferma non sfigurano nel panorama internazionale.
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Bleeder (1999) di Nicolas Winding Refn.
Secondo film del noto regista danese, che utilizza scarsi mezzi in modo ottimo, utilizza gli stessi attori del buon debutto Pusher e fa un film sulla paternita e relazioni con tratti di violenza, non male, anche se ho preferito la prima parte, piu spontanea e di introduzione al finale, ma nel complesso la regia, storia e intepretazioni funzionano, bella la scena dove il personaggio di Mikkelsen nomina fellini, craven e consiglia film, peccato per la citazione a Bay nel finale asd.
Gli darei un 6,5 visto che mi pare ingiusto bocciarlo, nel futuro penso di ri-vedermi tutto Refn visto che alcuni voti sono indeciso se alzarli leggermente nel complesso.Ultima modifica di Lightway; 17 gennaio 22, 00:13.
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Originariamente inviato da aldo.raine89 Visualizza il messaggioNon ho altri metri di paragone per quanto riguarda la filmografia del regista, ad ogni modo lo ritengo un film valido nel complesso, seppur in modo molto più moderato rispetto a Gidan e David. Per quanto riguarda i film italiani del 2021 gli ho preferito Freaks out, Qui rido io e quello di Sorrentino. Mi mancano ancora diversi film da recuperare e stringendo il campo a quelli italiani non so cos'altro valga la pena vedere, ad ogni modo quei tre e lo stesso Ariaferma non sfigurano nel panorama internazionale.
Marx può aspettare
A Chiara
Molti - vabbè si fa per dire - mi hanno parlato bene di Re Granchio, ma da me non è arrivato. Ottimo anche Il Buco, ma è cinema radicale destinato di propria volontà alla marginalità
Forse potrebbe piacerti La terra dei figli di Cupellini tratto dal fumetto di Gipi - ma se lo vedi e non ti piace io non ti ho detto niente
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Public Enemies di Michael Mann
Per me un altro capolavoro...tranquillamente tra i migliori di Mann, narrato con passo svelto e grinta, Mann ha il solito lirismo ispiratissimo nel narrare l'epica criminale ed il sentimentalismo. La scena della seconda fuga dalla prigione ed il finale al cinema tra le robe migliori della filmografia di Mann.
Depp scelta di casting perfetta e grande performance, Cotillard incantevole. L'unico appunto è che Bale è un po' sprecato, il suo personaggio ha troppo poco screen time e caratterizzazione.
Poi, se ne parlava in altri lidi, non so come si possa definire Blackhat il film di un bollito. Le scene d'azione erano bruttine (fa strano dirlo di Mann) e il villain impalpabile, ma è un film di un aritsta che ha ancora cose da dire. Per dire, il tema di una coppia di amanti col mondo contro, pedine in meccanismi più grandi di loro, è ricorrente nella sua filmografia (Miami Vice, Public Enemies), ma in Blackhat è all'enesima potenza. Merito della scelta dell'ambientazione: mai come in Blackhat i due amanti sono piccoli piccoli nel grande quadro della storia, mai come in Blackhat l'unica cosa che conta è l'uno per l'altra, catapultati come sono in un mondo alieno, ermetico, freddo.
Non per niente nonostante le brutture ancora me lo ricordo, e nel complesso lo considero un film riuscito.Ultima modifica di Cooper96; 17 gennaio 22, 21:29.Spoiler! MostraIn principio fu creato l'universo. Questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato giudicato dai più come una cattiva mossa.
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Ho visto Madres Paralelas, costruito su un'allegoria molto semplice, comprensibile e efficace. La storia delle protagoniste e il tema di fondo della rimozione storica viaggiano (non a caso) in parallelo e solo alla fine questa prende il sopravvento, ma il rapporto che si crea tra i due personaggi già esplicitava la riflessione sull'importanza della verità e sul dover necessariamente affrontare e metabolizzare il passato, per quanto doloroso possa essere. Passando sopra a delle inezie che accadono in modo un po' banale, penso a Janis che fa tranquillamente il test ad Ana senza bisogno di giustificare quell'azione in nessun modo, mi è piaciuto abbastanza. Bello il solito lavoro sui colori di Almodovor ma la fotografia "piatta" non ha fatto altro che aumentare quell'aria un po' da soap opera che i suoi film a volte hanno, soprattutto quando in qualche scena ci sono dei movimenti improvvisi che creano un effetto che non saprei esattamente definire ma che ricorda il motion smoothing dei televisori, rallentato.
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Ho visto e rivisto in queste settimane tutte le pellicola di Night M Shyamalan che vanno dal Sesto Senso fino ad Old (film che mi ha spinto a recuperare e poi rivedere allo stesso tempo un paio di film che anni prima avevo visto), visto che è un regista che qui sopra sembra andare forte, pubblico qualche recensione su alcuni suoi film e magari nei prossimi giorni, se ho voglia e vedo che c'è un dibattito, potrei pubblicarne qualche altra.
Il Sesto Senso di Night M Shyamalan (1999).
Pellicola che piomba nel mondo della cinematografia come un filmine a ciel sereno, lanciando dall'oggi al domani il nome del regista Night M. Shyamalan, Il Sesto Senso (1999), considerato a torto come il debutto del regista, visto che il successo clamoroso oscurò la fama delle sue precedenti opere, tutt'oggi misconosciute ed introvabili nonostante il nome famoso in cabina di regia, bisogna dire che a distanza di oltre 20 anni dalla sua uscita pur meritando la fama e l'aura di cult, in realtà visto retrospettivamente, a dispetto degli enormi elogi all'epoca da parte della critica americana, gli enormi incassi di oltre 670 milioni di dollari a fronte di un budget di appena 40 milioni, conditi da ben 6 nomiation agli oscar tra cui miglior film, regia e sceneggiatura; risultati lusinghieri per un film di genere thriller soprannaturale con venature orrorifiche qua e là (non un horror tout court come ancora oggi etichettato da molti), dove il cineasta si interroga sullo scopo dell'essere umano bisognoso di un posto nel mondo, la destabilizzazione dei rapporti inter-familiari, l'incomunicabilità, la funzione salvifica dell'infanzia e la possibilità di una seconda occasione nella vita, tramite la figura dello psicologo infantile Malcom Crowe (Bruce Willis), il quale dopo aver fallito malamente con un paziente, che da adulto lo ha accusato di non averlo guarito dalle sue allucinazioni, cerca occasione di riscatto tramite il piccolo Cole (Haley Joley Osment), un bambino di 9 anni che vive con la madre Lynn (Toni Colette), avente la capacità di vedere i morti, cosa che giustamente lo terrorizza e lo fa rinchiudere sempre più in sè stesso, anche a causa del fatto che nessuno ovviamente gli creda, gettandolo in una spirale costante ansia e terrore, poichè il suo "potere", gli permette di vedere tali fantasmi nell'istante stesso in cui sono morti, consentendo così a Shyamalan di giocare con una serie di inquietudini e turbamenti, ma non troppo eccessivi, adottando il punto di vista infantile in tali occasioni, anche se la regia si focalizza sempre sulla percezione da parte dello psicologo Malcom Crowe, il quale cerca di far si che tale potere, venga sentito e sfruttato dal ragazzino come un vero e proprio dono, per controllarlo ed usarlo così a scopi e fini migliori; in questo quindi risiede sin da subito il nucleo del cinema di Shyamalan, sfruttare l'elemento fantastico nell'ordinario, per allievare se non addirittura risolvere le sofferenze umane, giungendo quindi ad un nuovo umanesimo che tramite l'irrazionale, trova nuova forza.
Questa incomprensione di tale elemento sin dal suo primo film "forte" da parte della critica, ha accompagnato sino ad oggi la totale incomprensione della stragrande maggioranza dei critici e del pubblico (che comunque per quanto contestatario, molto volte è accorso al cinema a vedere le opere del regista), i quali hanno sempre comparato ogni sua opera successiva a tale lavoro, considerato da loro perfetto in virtù della costruzione della trama in stile puzzle dove le tessere vanno messe al loro posto, il colpo di scena finale (in verità intuibile a metà film, anche se sono contento di esserci arrivato da solo senza mai essermelo fatto sputtanare da nessuno) e la componente horror; in verità a proposito di quest'ultima, spesso risulta banalotta nella sua costruzione, con qualche jump-scare di troppo o immagini risapute come di una donna che passa con andatura celere innanzi ad una porta aperta, meglio quando il regista abbraccia il lato più strano-umanista in ambito orrorifico, tipo con la piccola Kyra che vomita causa avvelenamento o gli impiccati a scuola, giostrando su scelte estetiche marcate con un'atmosfera generale fredda, dove sembra essere immersi in un'eterna sospensione, che può venir meno solo con con l'atto di credere all'altro, cosa difficile per una mente razionale sfasciata di ogni certezza e inebriata dal proprio successo professionale, come quella di Crowe, il quale parallelamente vive anche una crisi con la moglie, che sembra totalmente indifferente alla sua presenza quando le sta vicino o comunque tenta di imbastire un discorso, perchè quello che manca nella società odierna e peggiorerà nel corso del tempo è l'ascolto dell'altro, perchè tanto vivo o morti, ad ognuno sembra fregare niente dell'altro, chiusi tutti in sè stessi.
Shyamalan nonostante l'atmosfera inquieta creata, anche se realizzata in modo commerciale e un risaputo nella messa in scena, venendo in ciò aiutato molto dal direttore della fotografia Tak Funjimoto e dalle composizioni di Howard, giunge comunque a delle soluzioni umaniste e di ascolto empatico nelle domande poste, smarcandosi quindi dalle solite conclusioni delle opere del genere, trovando in un sommesso e credibile Bruce Willis quanto in uno spontaneo Joley Osment due interpreti fondamentali; però nonostante ciò, l'alone di opera troppo esaltata non scompare del tutto, poichè il regista otterrà risultati di maggior rilievo nelle successive opere dove saggiamente deciderà di abbracciare totalmente il lato "weird" e assurdo del proprio cinema, creando una miscela personale, che altrimenti ne avrebbe fatto solo un clone di medio-alto livello di Alfred Hitchcock (a cui sempre si richiama), trovando così una sua strada con alti e bassi, ma spiazzando una critica ed un pubblico, che si aspettavano da lui evidentemente una miriade di altre opere sulla scia del Sesto Senso con annesso colpo di scena finale, con una formula facilmente replicabile e forse anche facile da tentare.
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Unbreakable - il predestinato di Night M Shyamalan (2000).
Il mega successo inaspettato del Sesto Senso (1999), è la svolta della vita per Night M. Shyamalan, che improvvisamente si ritrova al centro delle attenzioni di tutta la critica mondiale e con un pubblico in spasmodica attesa per le sue nuove opere, che non tarderanno ad arrivare data la miriade di offerte giuntagli sul tavolo da parte degli studios, ma il regista indiano come più volte farà in carriera prende in contropiede tutti e per la divisione Touchstone della Disney, prima ancora dell'esplosione del genere e quindi anticipando i tempi, gira Unbreakable - Il Predestinato (2000), una sua particolare quanto personale visione del cinecomics, partendo da una prospettiva, una trattazione e un punto di vista insolito, ma originale in fin dei conti; se esiste un'estremo, deve per forza essercene un altro dal capo opposto di esso, con peculiarità speculari, così la pensa Elijah Price (Samuel Jackson), uomo affetto sin dalla nascita da una rara malattia genetica, che ha reso fragili e deboli le sue ossa, inclini facilmente a fratturarsi, per questo costretto a condurre una vita appartata, coltivando sin dall'infanzia l'hobby del fumetto, convincendosi dell'esistenza dei supereroi nella realtà, identificandone uno nell'anonimo borghese David Dunn (Bruce Willis), unico sopravvissuto ad un incidente mortale su un treno a Filadelfia, che invece ha ucciso tutti gli altri passeggeri, la cosa più incredibile è la totale assenza di fratture o escoriazioni sul proprio corpo, il che pone nell'uomo delle domande su sè stesso, alimentate sempre più dalle teorie in apparenza strampalate, ma in realtà intriganti da parte di Elijah, riguardanti la sua vera natura.
Via ogni intreccio narrativo e la costruzione a tessa di puzzle, che tanto fecero la fortuna del Sesto Senso, Shyamalan ha totalmente carta bianca nel poter gestire il proprio cinema come meglio crede, puntando su un'atmosfera intimista, valorizzata alla grandissima dalla sublime colonna sonora del compositore Howard, adorando in particolare Visions più di tutte, per via un profondo moto di autoconsapevolezza, che essa riesce a sussurrare nell'animo di due personaggi altrimenti condannati all'apatia del quotidiano, ed invece nonostante i problemi differenti; la fragilità ossea di lui e l'apatia di una vita borghese senza via d'uscita causa problemi con la moglie Audrey (Robin Wright Penn), tramite l'elemento fantastico dapprima sentito come loro estraneo e poi sempre più preponderante nell'intercedere della narrazione, escono dai limiti auto-impostasi, per giungere ad un nuovo stadio di percezione di sè stessi, alla ricerca di un proprio posto in un mondo annichilente, conformista, insignificante e sempre più auto-reclusasi in sè stesso.
Shyamalan si libera della parola, per trovare nuove potenzialità tramite l'immagine, tramite il bel piano sequenza inziiale nel treno, con accorti movimenti di macchina, riusciamo a comprendere i mutamenti d'animo di David Dunn, dove comprendiamo che il matrimonio con la moglie è allo sfracello, tramite l'atto di togliersi la fede cercando goffamente di approcciarsi ad una donna, per poi recedere dal proposito.
Un film sulla sofferenza e sulla depressione di uomini comuni, di cui la macchina da presa con i suoi movimenti accorti ne sottolinea lo stato d'animo mutevole, così come il loro cambiamento di prospettiva netto (tante inquadrature ribaltate ci sono), tramite l'immissione della fantasia all'interno dell'anonimità delle loro esistenze; sopratutto per Elijah, i fumetti saranno la via d'uscita dallo squallore di un'esistenza passata reclusa in una stanza innanzi al riflesso di una TV, trovando in essi un hobby salvifico, ma anche una radicale lettura differente della realtà, vedendo nella nona arte odierna, il punto di arrivo, nonchè anche modo per tramandare anche mitologie rese in forma commercialmente appetibile per la massa tramite la struttura in vignette e l'utilizzo dell'archetipo del supereroe, con tutti i significati che tale figura si porta dietro.
Qualcuno ha paragonato David Dunn ad un Superman non cosciente di essere tale, ma non credo che Shyalaman guardi solo a tale figura, quanto piuttosto al primo dei tre cicli narrativi del Miracleman di Alan Moore (Sogno di un Volo) e alla sua modalità di gestione dell'archetipo del supereroe in un contesto reale.
David Dunn sino a quel momento, ha vissuto in una condizione di totale straniamento nei confronti dei suoi poteri, al sorgere dei quali, egli risulta scettico a contrario del figlio Joseph (Spencer Treat Clark), che invece crede fermamente che suo padre sia un supereroe con una grande forza fisica, strane ed alienanti, ma colme di meraviglia per l'ignoto, sono le riprese ripetute dei pesi aggiunti al bilanciere o quando il protagonista si accorge di poter avere dei flash delle vite altrui, semplicemente toccando le mani delle persone; essere un supereroe quindi per David Dunn è aver trovato il proprio posto nel mondo, cosa che pensava di aver perso per sempre quando per amore verso Audrey, dovette abbandonare il gioco football, guadagnando il suo amore, ma condannandosi ad una vita di totale anonimato e apatia, che a lungo andare, comunque ha finito con il logorare il legame con la moglie, il che spiega pure il fatto del perchè non abbia mai avuto coscienza del proprio potenziale, visto che David Dunn era un morto dentro prima dell'incidente, perchè era lui stesso a non credere minimamente in sè.
Mai rinunciare alla propria essenza in una società massificata, in questa chiave di lettura si coglie la potenza del twist plot finale, dal chiaro meccanismo meta-cinematografico e tematico, più che narrativo in sè com'era quello del Sesto Senso (1999), portando molti incoscienti a bollarlo come deludente, forse perchè a Shyamalan interessava la genesi e l'origine di un supereroe, il primo atto insomma, l'essenza stessa del mito, non l'azione (molto poca e mai debordante) e con Unbreakable, il regista crea probabilmente il miglior cinecomics di origini su un personaggio, che non deriva da alcuna fonte cartacea certo, ma trova base nell'idea stessa di un cineasta, che accetta appieno la componente wired del proprio cinema deludendo in parte il pubblico e la critica (su 75 milioni incassa 248 ai botteghini, oltre la metà in meno del suo precedente film, con recensioni molto più miste), ma sancisce la nascita di un nuovo autore tra alti e bassi.
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Signs di Night M Shyamalan (2002).
Night M.Shyamalan è una personalità molto strana, avrebbe potuto campare per tutta la carriera con film sullo stile del Sesto Senso, con accuse di ripetitività sicuramente, senza però subire l'ostilità sempre più crescente da parte della critica, che mano a mano, ha accolto sempre con meno entusiasmo le opere del cineasta, con varie accuse sui buchi di sceneggiatura, dialoghi imbarazzanti, ironia fuori luogo etc... non che tutto questo non vi sia, ma spesso tali imperfezioni servono al cineasta per imbastire un discorso meta-cinematografico, che qui in Signs (2002), mai come prima nei film del regista, risulta preponderante.
Signs si sviluppa in un'unica narrazione, che corre su due binari tematici paralleli; l'invasione degli alieni e la perdita della fede da parte di Graham Hess (Mel Gibson), ex pastore protestante, che ha rinunciato ad esercitare il ministero causa morte della moglie per incidente stradale, decidendo di ritirarsi in una fattoria di campagna assieme al fratello Merrill (Joaquin Phoenix), ex giocatore di baseball, con i piccoli Morgan (Rory Culkin), affetto da attacchi d'asma e Bo (Abigail Breslin), avuti con la defunta consorte; la routine viene sconvolta dal ritrovamento di un misterioso cerchio nel grano, nel campo di mais all'interno della sua proprietà, gettando ancora più confusione in un uomo lacerato da una profonda crisi, che ha smarrito il proprio posto nel mondo.
Dico subito le cose come stanno, seppur davanti ad un film come il Sesto Senso (1999), sicuramente è un passo indietro rispetto ad Unbreakable (2000), dove il cineasta era riuscito a portare avanti la propria idea di cinema con maggiore rigore nel controllo della messa in scena e più equilibrio tra le varie anime del racconto meglio amalgamate tra loro, rispetto a Signs, dove Shayamalan resta si assolutamente fedele al proprio cinema, ma estremizza forse un pò troppo la propria componente "wired", con sequenze involontariamente comiche (su tutte l'incidente mortale della moglie di Graham, con annesso dialogo tra i due), in una storia alla fine molto densa e drammatica in fin dei conti, con esiti stridenti; forse la scelta di Mel Gibson non è stata la migliore nel portare avanti quella che a conti fatti risulta essere una vera e propria linea parallela tematica, che s'incrocia solo nelle fasi conclusive con quella dell'invasione aliena, dove Joaquin Phoenix gli fa fare la figura del fessacchiotto, dimostrandosi un'attore di razza sin dalla sua giovane età, sfruttando appieno quel suo sguardo si gelido, ma tremendamente adatto alla stranezza di un'opera come Signs, che spesso scade nel ridicolo (cercato devo presumere) e nell'involontariamente comico, dove però tale attore con la sua recitazione, ci sta alla grandissima, rendendo cinematograficamente interessante, tale segmento narrativo.
Signs sembra un B-movie fantascientifico anni 50' e 60', che ama satirizzare quel genere di opere, perchè mai come prima Shyamalan gioca con il meccanismo meta-cinematografico in modo scoperto, buttando nel mezzo un libro comprato da Morgan, riguardante il modo di affrontare una possibile invasione aliena ed i suoi possibili esiti, con tanto di trovate assurde come la carta stagnola in testa perchè essa non dovrebbe far leggere nel pensiero dagli alieni (un cult quella scena), la cui raffigurazione come effetto speciale ha fatto inorridire gran parte degli spettatori, quando a dire il vero pare che il regista resti coerente con i suoi riferimenti anche nella loro rappresentazione, volutamente mal fatta e sgraziata a vedersi (con oltre 70 milioni a disposizione come budget è stata una scelta sicuramente voluta), ma messa in scena con una fantasia registica unica, tra fuori-fuoco, inquadrature attraverso i bicchieri ed un utilizzo di un Joaquin Phoenix assolutamente in parte, poichè sembra aver capito più di tutti intenti ed il tono dell'opera, con una prestazione recitativa improntata schiettamente sulla satira, risultando però sempre convinto di stare affrontando un'alieno in uno scontro all'ultimo sangue per la salvezza dei suoi familiari.
C'è da dire che vedere Signs dopo aver visto come il sottoscritto all'infinito Scary Movie 3 di Zucker (2003), non gli ha fatto un favore, perchè pensando alla parodia fattane scena per scena, si capisce come l'opera di Shyamalan in effetti sia facile da perculare e schernire, ma al tempo stesso rafforza in modo lampante il suo essere schiettamente una satira ironica sul cinema di invasione aliena, ma girata con un tono posato ed una gestione della tensione per gran aprte dell'opera, praticamente sul nulla, visto che poi l'alieno a conti fatti come detto prima, saggiamente lo si vede soltanto per pochi minuti nel finale; pensandoci sopra verrebbe da dire che in fondo tale aspetto volutamente ridicolo non sia altro che un ulteriore presa in giro su come l'umanità percepisca minacce a livelli così alti, che poi in realtà si risolvono con il più innocuo ed impensabile dei metodi, portando lo spettatore a sentirsi preso in giro, perchè rivede in tali personaggi sè stesso. Lo so, ero partito con il dare una certa valutazione all'opera, ma nel momento stesso in cui sto scrivendo una recensione in proposito, in effetti viene da pensare che sia molto più intelligente e meno stupida di come sia stata liquidata velocemente da molti spettatori; ma in effetti se uno amava i vari film da invasione aliena della seconda metà degli anni 90', Signs non si può che rigettarlo totalmente. Un'opera stramba, "wired" all'eccesso come lo sarà di qui in poi molto spesso il cinema di Shyamalan, eppure nonostante le critiche tiepide e le prese per il culo da parte di molti, capace di incassare ai botteghini più di 400 milioni, un altro colpo in buca per lo sciamano.
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