diabolik 2 è molto inferiore al primo, lost city fa ridere la prima parte ma poi crolla, comunque è stato un successo al box office, come bullet train che è molto bello, quindi non c'è stato nessun anno orribile per pitt
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Stanotte ho visto anche io Diabolik 2. Che dire, è un film vergognoso. I Manetti sono dei registi scarsi, si sapeva, ma con questo hanno veramente toccato il fondo, uno dei "fondi" della cinematografia italiana. Va benissimo in compagnia per riderci su e commentare stupiti ciò che si vede e si sente sullo schermo.https://www.amazon.it/dp/B08P3JTVJC/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&dchild=1&keywords=mau rizio+nichetti+libri&qid=1606644608&sr=8-1 Il mio saggio sul cinema di Maurizio Nichetti.
"Un Cinema che non pretende, semplicemente è" cit. Roy.E.Disney
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Originariamente inviato da Gidan 89 Visualizza il messaggioStanotte ho visto anche io Diabolik 2. Che dire, è un film vergognoso. I Manetti sono dei registi scarsi, si sapeva, ma con questo hanno veramente toccato il fondo, uno dei "fondi" della cinematografia italiana. Va benissimo in compagnia per riderci su e commentare stupiti ciò che si vede e si sente sullo schermo.
Chi ne parla bene ha battuto la testa o è in malafede non ci sono alternative.
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Ci sono varie sufficienze e voti buoni ai due Diabolik.
Una volta tanto che si può imbastire un'operazione commerciale nel nostro paese, ci dobbiamo beccare le pseudo manie autoriali, che hanno affossato il nostro cinema da anni. Terribile a vedersi, zero ritmo, non-recitazione a gogo, dialoghi inascoltabili e trama imbarazzante.
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Ho recuperato Happy Hour di Hamaguchi su RaiPlay.
Intanto mi viene il dubbio che la versione che ho visto sia leggermente accorciata perché durava "solo" 5 ore (305 minuti segnati sulla pagina di RaiPlay), mentre dopo la visione ho scoperto che su IMDB e sulle altre piattaforme risultano 5 ore e 18.
Chiunque non abbia apprezzato Drive My Car stia quanto più possibile alla larga.
La visione è stata divisa in due sedute più per mancanza di 5 ore consecutive che per stanchezza, anzi, mi ha sorpreso di come non mi sia pesata per niente la visione.
Nonostante partissi prevenuto sulla durata rispetto a quello che sembrava raccontare, alla fine avevo la sensazione che avrei potuto vederne ancora un po'.
Comunque i territori sono quelli di DMC, con personaggi alieni a se stessi e alla società, che si sforzano di elaborare la propria condizione sentimentale ed esistenziale attraverso fiumi e fiumi di parole, scontrandosi contro la tipica natura nipponica del tenersi tutto dentro.
Tutto il film è attraversato dal bisogno dei personaggi di trovare il proprio centro di equilibrio interno e in rapporto agli altri, in particolare dopo la svolta "antonioniana" (almeno inizialmente, poi i risvolti sono diversi) di metà film, quando la sparizione (anticipata registicamente in vari modi per tutte le due ore e mezza che la precedono) di un personaggio che faceva da fulcro e collante nel gruppo di protagoniste le costringe a vedere gli squilibri delle loro vite (e nella seconda parte c'è una certa quantità di scene in cui i personaggi cadono, inciampano, si rompono le gambe, collassano).
Rispetto a DMC la recitazione è ancora più "anaffettiva" (volutamente, come illustra anche la meta scena dell'incontro con la scrittrice) e potrebbe rendere più difficile a qualche spettatore entrare nel cuore dei personaggi, ma rende ancora meglio l'idea di veri e propri alieni che stanno scoprendo il mondo; lo sono al punto che in un paio di passaggi sono pure scoppiato a ridere per l'assurdità intrinseca a certi scambi dialogici (in particolare c'è un personaggio, uno dei mariti delle protagoniste, che sembra davvero un androide e non sfigurerebbe in una serie di Star Trek).
Pur nei limiti (se così li si vuole chiamare) di queste scelte di base, i personaggi sono tutti molto ben esplorati (anche se forse qualcuno potrebbe storcere il naso alla rappresentazione impietosa dei tre mariti).
Molto bello, molto "letterario", non per tutti.
Ps: il trailerSpoiler! Mostrasi apre con l'immagine finale del film
Ultima modifica di Sir Dan Fortesque; 18 aprile 23, 23:37.Luminous beings are we, not this crude matter.
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Originariamente inviato da Sir Dan Fortesque Visualizza il messaggioHo recuperato Happy Hour di Hamaguchi su RaiPlay.
Intanto mi viene il dubbio che la versione che ho visto sia leggermente accorciata perché durava "solo" 5 ore (305 minuti segnati sulla pagina di RaiPlay), mentre dopo la visione ho scoperto che su IMDB e sulle altre piattaforme risultano 5 ore e 18.
Chiunque non abbia apprezzato Drive My Car stia quanto più possibile alla larga.
La visione è stata divisa in due sedute più per mancanza di 5 ore consecutive che per stanchezza, anzi, mi ha sorpreso di come non mi sia pesata per niente la visione.
Nonostante partissi prevenuto sulla durata rispetto a quello che sembrava raccontare, alla fine avevo la sensazione che avrei potuto vederne ancora un po'.
Comunque i territori sono quelli di DMC, con personaggi alieni a se stessi e alla società, che si sforzano di elaborare la propria condizione sentimentale ed esistenziale attraverso fiumi e fiumi di parole, scontrandosi contro la tipica natura nipponica del tenersi tutto dentro.
Tutto il film è attraversato dal bisogno dei personaggi di trovare il proprio centro di equilibrio interno e in rapporto agli altri, in particolare dopo la svolta "antonioniana" (almeno inizialmente, poi i risvolti sono diversi) di metà film, quando la sparizione (anticipata registicamente in vari modi per tutte le due ore e mezza che la precedono) di un personaggio che faceva da fulcro e collante nel gruppo di protagoniste le costringe a vedere gli squilibri delle loro vite (e nella seconda parte c'è una certa quantità di scene in cui i personaggi cadono, inciampano, si rompono le gambe, collassano).
Rispetto a DMC la recitazione è ancora più "anaffettiva" (volutamente, come illustra anche la meta scena dell'incontro con la scrittrice) e potrebbe rendere più difficile a qualche spettatore entrare nel cuore dei personaggi, ma rende ancora meglio l'idea di veri e propri alieni che stanno scoprendo il mondo; lo sono al punto che in un paio di passaggi sono pure scoppiato a ridere per l'assurdità intrinseca a certi scambi dialogici (in particolare c'è un personaggio, uno dei mariti delle protagoniste, che sembra davvero un androide e non sfigurerebbe in una serie di Star Trek).
Pur nei limiti (se così li si vuole chiamare) di queste scelte di base, i personaggi sono tutti molto ben esplorati (anche se forse qualcuno potrebbe storcere il naso alla rappresentazione impietosa dei tre mariti).
Molto bello, molto "letterario", non per tutti.
Ps: il trailerSpoiler! Mostrasi apre con l'immagine finale del film
Non sapevo della questione del minutaggio, cerco in rete altre versioni e ti dico cosa scopro a riguardo. Una cosa che stonava è che la copia della Rai, data dalla Tucker Film, ha la scansione in 3 parti, col logo della casa di distribuzione che ritorna spezzando ulteriormente la sequenza delle immagini. Boh!
Condivido comunque quanto dici sugli elementi del film, una bella lettura. E' vero che il genere maschile non ci fa una bella figura in definitia. Ma per l'"androide" intendi il marito di Jun o un altro?
Concordo sulla "letterarietà" del film, son curioso di proseguire con gli altri film di Hamaguchi per capire se c'è sempre questa attenzione al dialogo, allo scavo psicologico, al prendersi il tempo in una sequenza per metterci le parole e le pause che si ritiene necessario (penso alle letture dei copioni in Drive my car, qui oltre alle cene penso alla presentazione del racconto e il successivo dibattito).
Ti chiedo una curiosità, visto che tu e Bone sulle musiche siete sempre illuminanti, che ne pensi di questa componente all'interno del film?
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L'androide/alieno è il marito di Jun (ha pure le orecchie da vulcaniano), sembrava che stia cercando di capire come funzionano gli esseri umani.
Alla musica, devo dire la verità, non ho fatto granché caso a parte qualche pezzo dove c'erano degli archi particolarmente prominenti.
Comunque di Hamaguchi su RaiPlay (o MUBI) trovi anche "Il gioco del destino e della fantasia", che viaggia su binari simili. Avevo visto anche Asako I & II ma mi pare che quello fosse meno romanzesco.
Luminous beings are we, not this crude matter.
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Originariamente inviato da Sir Dan Fortesque Visualizza il messaggioL'androide/alieno è il marito di Jun (ha pure le orecchie da vulcaniano), sembrava che stia cercando di capire come funzionano gli esseri umani.
Alla musica, devo dire la verità, non ho fatto granché caso a parte qualche pezzo dove c'erano degli archi particolarmente prominenti.
Comunque di Hamaguchi su RaiPlay (o MUBI) trovi anche "Il gioco del destino e della fantasia", che viaggia su binari simili. Avevo visto anche Asako I & II ma mi pare che quello fosse meno romanzesco.Sì, il marito di Jun davvero bizzarro come personaggio, anche sorprendente al momento della presentazione.
Sì quello l'ho preso da Raiplay, è la prossima visione (ma in confronto a questi due è quasi un mediometraggio).
Stavo controllando un file che ho preso ed è effettivamente 5 ore e 18 circa di durata. La differenza penso allora sia nel frame rate: la versione Raiplay di derivazione televisiva è a 25 fps, quell'altra che dura di più infatti è 23.976. Risolto, penso, il mistero.In effetti lievi discrepanze accadono anche con altri film presenti su Raiplay, qui sulle 5 ore ha generato un 13 minuti di differenza.
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Avevo immaginato che potesse essere quello perché anche con la Syder Cut della JL scremava 15 o 20 minuti in quel modo.
Originariamente inviato da Mr. Babeido Visualizza il messaggioSì quello l'ho preso da Raiplay, è la prossima visione (ma in confronto a questi due è quasi un mediometraggio).
Luminous beings are we, not this crude matter.
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Antiporno
Lo avevo in Watchlist sin da quando ho visto Love Exposure, credo ne avessi letto bene qui sul forum. Finalmente l'ho visto e mi è piaciuto molto, anche se penso che l'avrei apprezzato ancora di più se avessi avuto più familiarità con il genere rappresentato/decostruito nel film e con la filmografia di Sion Sono (prima di questo avevo visto solo altri tre suoi lavori, ma uno era quello con Cage). Nella critica alla società giapponese e allo sfruttamento del femminile mi ha ricordato un po' Perfect Blue, con un po' di Lynch per come i vari piani si intersecano e le identità si confondono. Qui però tutto è ridotto ai minimi termini (e "confezionato" stupendamente), i personaggi rivelano la propria natura di significati ambulanti e ciò che il film vuole dire alla fine ci viene letteralmente sbattuto in faccia, in un finale che ho trovato bellissimo; beffardo, liberatorio e agghiacciante allo stesso tempo.
Operazione Diabolica (Seconds)
Film del 1966 di John Frankenheimer. Utilizzando la ricerca del forum non ho trovato nessuno che ne abbia parlato negli anni passati, mi è parso un film precursore per certe trovate stilistiche, ad esempio il grandangolo usato per inquadrare i volti (un po' come faranno Terry Gilliam e Aronofsky) al fine di trasmettere una certa inquietudine di fondo e uno stato quasi allucinatorio, cosa a cui contribuisce anche l'ottima fotografia in b/n e il sonoro. Già i titoli di testa e l'inizio del film (che metto qua sotto) sono esemplari.
L'elemento fantascientifico alla base della storia (che non spoilero, nel caso altri volessero vederlo a scatola chiusa come ho fatto io) è abbastanza semplice e serve ad imbastire una riflessione sull'asfissiante natura dell'identità. Ammetto di aver preferito i primi quaranta minuti a tutto il resto, che ho trovato i più efficacemente inquietanti (insieme al finale). Alla seconda parte manca qualcosa per renderlo un film completamente riuscito, ma è permeata da una malinconia di fondo non indifferente.
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Ho visto Tàr e mi è parso un filmone, che necessiterebbe di una revisione a stretto giro per poter cogliere e apprezzare tutte le sfumature che popolano l'opera e la costruzione del personaggio protagonista (è pure inutile stare a dire quanto la Blanchett sia stata brava). Mai come in questo caso è appropriato dire che il film è un character study, in cui le azioni e i comportamenti di Lydia Tàr ci dicono più di quanto non facciano i fiumi di parole da cui si è travolti. Un aspetto su cui il film riflette è quello della narrazione (si pensi al video modificato ad arte), ma anche dell'auto-narrazione: nell'intervista all'inizio scopriamo molte cose sulla biografia di Tàr, e ci instradano verso un'idea ben precisa sul tipo di persona che stiamo osservando. Quell'idea, in un modo molto rigoroso e quasi invisibile, verrà progressivamente messa alla prova lungo tutto il film attraverso varie contraddizioni. Per fare un esempio: nell'intervista iniziale sentiamo dirle che non legge mai le recensioni, eppure verso la fine del film la vediamo su Twitter intenta a leggere ciò che scrivono di lei. È auto-narrazione anche la storia che si inventa, inutilmente, per giustificare i segni sul volto dopo una caduta. Tutti queste piccole pennellate vanno a comporre il quadro della personalità di Tàr, ma è importante anche ciò che non vediamo. Non c'è un momento che riveli se le accuse che le vengono rivolte siano completamente fondate, eppure che qualcosa ci sfugga (e che in un certo senso ci venga nascosto) diventa sempre più evidente, e la "vicinanza" che sentiamo nei suoi confronti grazie al fatto che da più di due ore siamo nella sua vita senza poter esprimere una verità assoluta rende il tutto più sfaccettato. Non ricordo i commenti sul film fatti qui dentro (magari più tardi li cerco), ma ricordo cose lette in altri lidi a proposito di un'indecisione ideologica sul tema della cancel culture, se non una vera e propria contraddizione tra la prima e la seconda parte. Non ci ho visto niente di male in tutto ciò, la contraddizione è il fulcro del film. Quello che fa guadagnare punti alla pellicola è proprio questa sua complessità, che sembra non offrire risposte assolute e che invoglia a riavvolgere il nastro per studiare meglio la protagonista, scaturendo una riflessione molto attuale.
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Finalmente l'ho recuperato anch'io.
Qualche considerazione sparsa:----SPOILER----
Il film mi è piaciuto parecchio, come detto da altri è un lavoro stratificato e complesso che richiede(rà) più di una visione per essere apprezzato meglio, disseminato com'è di dettagli e indizi, frammentario come note che vanno a comporre una musica dissonnante ma pur sempre strutturata.
Ci sarebbe tanto da dire sul come il film intavola un discorso multistrato che va dalla cancel culture, al significato dell'espressione artistica, alla gestione del potere, l'ambiguità del mondo dello spettacolo e come contamini quello dell'arte al punto che non sono ormai più inscindibili, fino, ovviamente, al ritratto puro e semplice di una figura sfuggente e contraddittoria, in bilico, come la sua protagonista, tra rigore e fugaci schegge impazzite (visive e narrative) che si fanno sempre più pressanti verso la parte finale sempre più frantumata e veloce (si potrebbe parlare di macro struttura musicale). Tutto sorretto da una Blanchett monumentale come non mai.
Alcuni aspetti, tra i tanti, che mi vengono in mente:
Il film, come già detto, è kubrickiano (nella messa in scena e nella scrittura), un labirinto rievocato anche graficamente dai disegni che Tar continua a vedere, dove non tutte le vie portano necessariamente a un'uscita (quantomeno a un'uscita chiara), su tutti i momenti mi sovviene quello della donna che grida nel bosco.
Tar è un gran personaggio, diviso e contraddittorio, che ci richiede di accettare la sottile separazione tra artista e persona. In più di un'occasione vediamo inscenata questa sfumata linea di confine:
- In ambito artistico Tar insiste più volte di non essere robot, ma poi in campo umano vediamo che quella più vicino a un robot è spesso lei (ma non sempre, il quadro del personaggio non è così semplice).
- Lei stessa ribadisce la necessità di separare arte e artista ma più avanti scopriamo che nello scegliere i suoi collaboratori e pupilli possono entrare in campo anche fattori di attrazione sessuale, per quanto sempre legati anche a una componente talentuosa; a questo proposito il discorso è ancora più complesso perché è chiaro che Tar, oltre che a livello fisico, è attratta in egual misura anche dal talento delle sue "protette", le due cose sono inseparabili e non viene mai lasciato intendere il contrario (almeno in ambito musicale, vedasi la giovane asiatica nell'epilogo).
Allo stesso tempo però all'inizio considera fondamentale, per poter interpretare al meglio il lavoro di un compositore, segnatamente la quinta di Mahler, conoscere la vita del compositore e le circostanze in cui quel pezzo è stato composto (in quel caso il legame tra la Quinta e la moglie Alma).
- Tar esordisce con un interessante discorso sul tempo e sul ruolo del direttore d'orchestra nel rievocare il passato direttamente nel presente, ma sul lato personale vediamo e poi scopriamo (nell'inaspettata scena col fratello in cui viene rivelato il suo vero nome), che il passato è tutto quello da cui lei fugge costantemente.
- Un altro contrasto interessante è quello tra maschile e femminile, fin dalla prima intervista viene ribadito come sia stato e sia ancora difficile per una donna ottenere una posizione di rilievo in quel mondo, ma nel caso di Tar più volte viene sottolineato come la sua sia un'energia più tendente al maschile: si presenta come il "padre" della figlia, quando discute con la moglie prende le difese di Mahler a discapito di Alma (moglie di Mahler), ci tiene a rivendicare il diritto di essere chiamata "conduttore" e non "conduttrice" ed è chiaro che nelle sue relazioni "amorose" o tendenti tali occupa quel ruolo dominante tipicamente associato al maschio, non è mai in condizione di parità; a questo si aggiungano le figure maschili che le fanno da riferimento da Bernstein al mentore che le ha spianato la strada con cui chiacchera un paio di volte.
C'è poi una concezione del tempo circolare o quantomeno a spirale, una sorta di eterno ritorno (come il continuo rimettere in scena la musica) attraverso cui Tar deve passare e, forse, non è dato di sapere, imparare ad essere una persona "migliore". Il film parte quindi con i titoli di coda e, ancora più sorprendente, con una musica che di classico non ha nulla. Più avanti scopriremo che si tratta di un lavoro "etnografico" che Tar ha svolto in Perù.
In alcuni momenti del film poi cominciano a penetrare delle visioni che richiamano quell'ambientazione (bellissima la scena del fiume); per quanto si possa presumere che siano legate all'esperienza peruviana poi scopriamo che potrebbero essere reinterpretate come premonizioni del suo viaggio finale in Asia, un'ambientazione tanto lontana quanto visivamente affine a quella peruviana, almeno sul fronte naturale.
Anche il finale per me è difficile interpretarlo univocamente, non ci vedo semplicemente una vittoria della cancel culture per vari motivi.
Da una parte, anche se non sembra un collegamento immediato con la sua personalità, Tar non è una stereotipata direttrice/compositrice (ops) che fa pesare la supremazia della musica classica sul resto.
Tutt'altro, ci viene presentata con un progetto musicale che di classico non ha nulla, poi ci viene detto che ha un EGOT, il che comporta che non ha avuto problemi a comporre per il cinema e la televisione (in questo senso è una degna allieva del poliedrico Bernstein). Lei dedica alla musica sempre lo stesso rigore, sia quel che sia, incluse le musiche live di un videogioco.
Inoltre, sempre perché il film aspira (e riesce) a dare una visione complessa e non definitiva di questo fenomeno, da un altro punto di vista il finale potrebbe essere considerato come una vittoria di Tar, per cui c'è il ragionevole dubbio che sia una persona che ha fatto delle cose spregevoli (con conseguenze anche gravi) ma che, dopo una "vacanza" in qualche regione sperduta del mondo, probabilmente poi potrà tornare alla ribalta come se nulla fosse; mai viene lasciato intendere che questo sia un esilio.
Ma per certi versi ci ho visto anche un tentativo inconscio di Tar di ricollegarsi al suo lato più fanciullesco e puro di concepire la musica, lontano dalla ribalta e dagli onori, anche perché è proprio alla fine che rispolvera il video di Bernstein che spiega che cos'è la musica, guardandolo con genuina commozione.
A questo aspetto ricollegherei anche il rapporto con la figlia, che la stessa moglie le dice essere l'unica relazione senza secondi fini della sua vita; e quindi che alla fine Tar si trovi a musicare un videogioco per giovani amanti del fantasy se da una parte può essere interpretato come un beffardo scherzo dell'universo, dall'altro potrebbe anche avere una valenza positiva di un ritorno a quell'aspetto più genuino, fanciullesco appunto, del rapporto con la musica.
A questo tentativo di ritorno all'innocenza (e alla coscienza), si associa un parallelo richiamo alla morte.
Mi viene in mente il complesso di appartamenti in cui vive Olga, la violoncellista, in cui ha luogo uno dei momenti più horror del film che forse, col senno di poi, richiamano la squallida abitazione originale di Tar dove vive suo fratello
Ma anche, e questo l'ho trovato particolarmente kubrickiano, l'incorporazione nella sua nuova composizione, di un suono di cui all'inizio non capisce la provenienza e solo molto più avanti scopriamo appartenere ai macchinari della vecchia morente nell'appartamento di fianco, scoperta che dà un nuovo senso all'inclusione di quelle note nelle fondamenta della composizione.
Di sicuro c'è tanto altro da dire (dalle visioni, ai tic, all'insonnia, alla misofonia, alla gestione fantasmatica della figura di Krista ecc.) quindi mi fermo qua. Aggiungo però che è curioso come negli ultimi anni questi ritratti di donne larger than life ("reali" o meno) passi sempre per una rappresentazione che strizza l'occhio all'horror, penso a Spencer, Blonde, ma anche, per restare in tema musicale, al meno ricordato Vox Lux.
Luminous beings are we, not this crude matter.
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Sir Dan Fortesque e Admiral Ackbar , ottimi commenti. Non vedo l'ora di rivedere il film.
Rispetto ai titoli di testa mi è venuta in mente un'altra cosa. La scelta di mostrarli "dalla fine" è legata a tanti motivi, ma ripensandoci potrebbe anche essere un bell'omaggio di Field a come le orchestre salgono concretamente sul palco. Prima le percussioni, poi gli strumenti a fiato, gli archi, il primo violino e, per ultimo, il direttore. Così i titoli di testa mostrano prima le maestranze, in ordine di importanza e visibilità, per finire col il regista/direttore.
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Field ha dato una risposta estesa a riguardo, ma poi come sempre, penso che i piani d'interpretazione vadano al di là delle intenzioni:
The movie opens with an image on a camera phone that the audience has no context for yet, and then what are typically the end credits play out in full. I saw the movie at a public showing and the audience reaction moved from confusion to a palpable annoyance and even anger. What made you want to include the end credits at the beginning of the movie?
Todd Field: It’s always dangerous to talk about these things because I think that your ideas evolve. All I can tell you is that my very first line in the script for whatever reason, I didn’t think about it, I just wrote “punctuating credits, filling a single black frame one after the other side by side, like players seated on a cramped stage.” That’s what I wrote. I didn’t think about it very much, but I knew at that moment I was hoping to achieve kind of like an overture or a prelude. That idea evolved.
Here’s two things. One is we watch movies these days and unfortunately we watch too many of them at home. And when we get to those end credits, they shrink and they fly to the corner, and you scramble for your remote. And if you’re someone that works in the business because you want see who worked on the film, and especially if you know your friends worked on the film and who else worked on the film, and you’re genuinely curious. And if you’re going to credit people, then those credits should count as much as any other credits. Many are the hands that make a film. There are many filmmakers that lock arms together and so just simply speaking, I wanted to recalibrate the viewer’s expectations about hierarchy. That’s a fairly low-hanging piece of fruit thematically for the film.
But also to recalibrate how they listen and for what length of time. And in this case, with this song sung in a language 99.9% of them will not understand, so the Shipibo Conibo Icaro that’s sung by Elisa Vargas Fernandez, it’s representative of the ethnographic field work that both Adam Gopnick and Lydia Tár reference in the very first scene that follow those opening credits. And that’s important, whether you understand what it is or not, I think it’s important just in terms of sort of saying, “Get ready, the rhythm and hues that you’re used to perhaps may be a bit different going forward,” and intentionally try to put an audience on their heels and make them decide where they stand and if they stick with it or not. And it is disorienting, but intentionally so.
It was also that even though it’s a rehearsal film, there’s a tremendous amount of performance required, and if anyone came at the end other than the performers to take that curtain call, I’d be throwing fruit and tomatoes at the screen. So it was really important that they come out and we have the pleasure of letting them take a curtain call. So the rule being that the last is first in the beginning of the credits and the curtain call credits at the end of the film are meant exclusively for the onscreen performers and the three primary people who assisted those performers in the making of the music.
Those three people being our composer, Hildur Guðnadóttir; our music advisor, John Mauceri; and our conducting supervisor, Natalie Murray Beale. So it was a very simple decision. And [editor] Monika Willi and I, along with our apprentice editor, John Kolesnikow, created and slugged those credits from early on because they were very important. They weren’t just credits. We were hoping they were doing things that we wanted to achieve. And that anyone that saw the film, including the studio for the very first time, understood were facts having to do with the rhythm of the film. It was a big conversation after the first viewing with [distributor] Focus [Features]. We had to really talk about that, there was some real concern to your point, that people would be confused and they might be running to the projection booth and saying that you got reel eight where reel one should be and all of that. But that level of disorientation was intentional. You know, I probably said too much about it already.
Luminous beings are we, not this crude matter.
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